Adriano Goio: un grande sindaco?
Un ricordo (molto) controcorrente
Confessiamolo: Questotrentino si trova spesso in difficoltà, quando viene a mancare una persona pubblica. Perché i quotidiani sempre si scatenano in elogi sperticati, trasformando il deceduto in un eroe della Patria, venerando padre dell’Autonomia, fulgido esempio per le prossime generazioni. Sempre. Anche quando sarebbe il caso di un maggior contegno, di un minimo di senso della misura, se non di senso critico.
Un costume che, a nostro avviso, non è pietà per chi scompare, solidarietà con i famigliari, ma – quando si tratta di personaggi pubblici, magari importanti – puro conformismo, che induce perdita di memoria e di senso della storia.
Avevamo visto un paio di anni orsono questa dinamica alla morte dell’ex presidente della Giunta Provinciale Flavio Mengoni, lo vediamo ora con quella, a fine marzo, di Adriano Goio, sindaco di Trento dal 1983 al ’90.
“Ha ridisegnato la città”. “Fu un Rinascimento”. “Grande sui temi urbanistici”. “Adriano, la città ti è riconoscente” alcuni dei titoli, sintetizzanti il profluvio di elogi dei giornali e dei politici.
Noi non siamo d’accordo. E a questo punto ci sentiamo di dover esplicitare questo dissenso, che non fa altro che riprendere i nostri giudizi, severi, dei tempi in cui l’uomo fu sindaco e uomo politico.
Adriano Goio fece parte di quella schiera di politici contigui, anche sul piano personale, con affaristi e speculatori. Fu molto amico dell’ing. Bruno Gentilini, capo indiscusso della cupola affaristica sgominata dall’inchiesta di Mani Pulite del ’93. Un’amicizia che si tradusse in alcuni provvedimenti scandalosi, tra cui il via libera al “Totem”, un condominio di Gentilini di sei piani in via Rovereti, zona di villette, autorizzato attraverso acrobatiche forzature dei dettati urbanistici. Goio cercò pure, a più riprese, di far approvare le speculazioni del bolzanino Tosolini, ma lì incontrò una dura opposizione, di cui QT si fece tenace espressione.
Più in generale a Goio viene attribuita la rinascita del centro storico. Se è vero che sotto di lui vennero eseguiti i pregevoli lavori di arredo urbano, è peraltro vero che nell’85, sempre lui sindaco, venne approvato il fondamentale “Piano del centro storico”, ma iniziato molto prima, e portato a termine grazie alla determinazione dei socialisti (assessore Dallafior), tra l’indifferenza o le larvate resistenze del sindaco e del suo partito, come scrivemmo in un servizio del 19 aprile di quell’anno.
Adriano Goio invece fu pienamente responsabile, con il Piano Regolatore dell’89, della parte di Trento più disastrata, la pasticciatissima espansione a Trento Nord, cui invano le successive pianificazioni tentarono di rimediare.
Non vorremmo infierire, ma anche il suo cursus honorum dopo la sindacatura non fu esemplare. Fu nominato per 14 anni segretario dell’Autorità di Bacino dell’Adige, dove si distinse per il più assoluto immobilismo; immobilismo nelle iniziative pratiche, cui corrispose un dinamismo nei cambi di casacca (dalla DC al centro-destra, poi ancora alla Margherita) quando il partito di riferimento non gli assicurava un’adeguata poltrona.
Eppure era una persona colta, dotata di spirito, di acuta intelligenza. E anche di capacità organizzative, nel mettere a punto la macchina burocratica del Comune. Doti cui, a nostro avviso, non corrispondeva un reale senso civico.
Ricordiamo questo scambio di battute che avemmo quando nel ’95 tornò in pista cercando la rielezione a sindaco. Ci incontrammo per strada e mi fermò: “Premetto una cosa: io non ti apprezzo e non ti stimo” mi apostrofò, con rude schiettezza.
“Pazienza”
“In questa campagna elettorale Questotrentino appoggia Dellai…”.
“Beh, sì, lo riteniamo meglio di te”.
“Perché secondo te io sono vicino a Tosolini…”.
“A Tosolini e ad altri speculatori”.
“Ma tu – e le labbra si inarcarono in un sorriso sprezzante – pensi che Dellai sia diverso?”
“Finora nulla ha fatto pensare il contrario”.
Mi guardò per un attimo: “Non capisci proprio niente”. E con un sorriso di commiserazione girò i tacchi e se ne andò.
Oggi, dopo tutta la vicenda ex-Michelin-Albere, penso che, nella sostanza, avesse ragione. Ma penso anche che, se non ci servono giornalisti ingenui, men che meno abbiamo bisogno di amministratori cinici, cui magari tributare sconsiderati elogi.