No ai muri
Il ritorno dei controlli e delle possibili barriere che il governo austriaco ha comunicato di voler costruire lungo tutto il suo territorio confinante con altri stati (violando il trattato di Schengen e affossando l’ultima briciola di speranza che si aveva in un europeismo umano e solidale), non può che farci interrogare su cosa sta succedendo oggi nel vecchio continente e su quali debbano essere le risposte che deve dare chi non accetta la costruzione di questi muri.
Queste barriere, per prima quella ungherese e poi tutti quelle che sono seguite fino a quella di Idomeni, sono una risposta folle e disumana all’arrivo di persone che fuggono da guerre o da disastri ecologici di cui l’Europa è spesso complice e sono un favore a chi come il Daesh propaganda un’ immagine sanguinaria dell’Occidente. La pericolosa conseguenza che porta con sé la riscoperta dei muri, la possiamo comprendere bene citando Piero Zanini (antropologo e filosofo): “Il confine può diventare la condizione che trasforma qualcuno in straniero”.
Certo, il confine nella storia non ha avuto sempre questo significato, è stato anche quella terra di mezzo in cui si incontravano culture. In questo senso sarebbe opportuno ripensare il confine come una “frontiera mobile”, uno spazio poroso di attraversamento, di conoscenza e rinegoziazione delle identità. Il muro invece da sempre produce una frattura violenta con chi, essendo dall’altra parte, rischia di smettere di essere riconosciuto come “umano”.
Quella che si staglia di fronte ai nostri occhi è purtroppo oggi la rinascita della strategia dei muri, che impediscono alle persone di raccontare chi sono e da dove vengono, facilitando la nefasta narrazione della guerra come risolutrice dei conflitti.
Queste politiche trasformano inoltre molti luoghi in enormi spazi concentrazionari, campi profughi di detenzione non più transitori che investono interi territori, catturando le vite di milioni di persone e cancellando il loro futuro. Ed è proprio partendo da qui, nel guardare ad un mondo globale in cui si stanno creando spazi marginali sempre più ampi, che è necessario oggi cercare di abbattere fisicamente e culturalmente questi muri. Solo ripensando lo spazio del confine come luogo di incontro da attraversare avendo l’altro di fronte a noi, possiamo sperare di elaborare un percorso per superare le barbarie in atto.