La Grande Guerra al MART: le omissioni
Il MART provoca: non più solo museo d’arte, ma struttura che illustra uno dei periodi più tragici del secolo scorso. 100 anni fa nella Grande Guerra, oltre tre anni di supplizio, si sono fronteggiati popoli umili, mandati al massacro da governanti propensi solo ad essere protagonisti, possibilmente vittoriosi, di un teatro, come lucidamente scrive Karl Kraus, che ha avuto come base la logica dello sterminio.
La mostra ci trasferisce in modo forte in quanto accaduto allora. Ci si addentra nel percorso accompagnati da frasi di soldati e di grandi scrittori, si incrociano immagini fotografiche e di dipinti che nulla nascondono dell’accaduto e della ferocia dello scontro, su tutti i fronti. Diverse salette ci permettono di ascoltare racconti, di seguire video, di legare quegli avvenimenti alle guerre più recenti: Medio Oriente, Palestina e poca, troppo poca Africa. Assente il Sud America, dove invece si stanno sviluppando le guerre che verranno.
La mostra non la si vede solamente, la si calpesta anche, seguendo i tappeti afghani, la si ascolta accompagnati da musiche appropriate. Ed infatti si esce dal Museo angosciati, coinvolti dal grigiore delle immagini e dalla spietatezza del confronto.
Uno sforzo culturale simile meritava di essere però completato. La mostra non si tiene in un qualsiasi palazzo di un comune della Val Rendena o del Cadore.
Il MART doveva presentare anche quanto accaduto sul fronte della Galizia dove, fin dall’estate del 1914, decine di migliaia di trentini vennero inviati a morire. Doveva rappresentare il dramma delle popolazioni friulane nel nome delle quali gli italiani hanno combattuto, popolazioni che dovevano essere liberate dall’oppressore austroungarico. Gli interventisti italiani infatti avevano come primo obiettivo la “liberazione” di Trieste. Ed invece ci si sofferma in modo forse troppo invasivo nella celebrazione degli eroi trentini, Cesare Battisti e Damiano Chiesa. E gli eroi dell’altro fronte? E le migliaia di morti trentini e friulani in Galizia? Quasi dimenticati.
Il MART aveva il dovere di presentare anche l’altra faccia dell’interventismo. Quegli anni non vivevano solo del protagonismo di Marinetti o di Depero e Balla. Il Partito Socialista si era spaccato, la componente pacifista era ed è stata importante, anche se rimasta schiacciata dalla retorica delle bellezza della guerra. Nell’insieme della mostra si trova solo traccia del fondamentale libro di Karl Kraus, “Gli ultimi giorni dell’umanità” e vi si trovano solo sporadiche testimonianze dei tanti che alla guerra si erano opposti. Non vi è dubbio: si poteva fare e raccontare modo più incisivo e completo.