In fondo alla speranza. Ipotesi su Alex Langer
Il nostro Alex. Jacopo Frey e Nicola Gobbi, Bologna, Comma 22, 2013, pp. 70, € 13.
Jacopo Frey e Nicola Gobbi hanno presentato a Bolzano il loro fumetto, o graphic novel, come si dice oggi. La prima volta nel nuovo edificio del Liceo Carducci, dove l’aula magna è una sala per iniziative anche aperte al pubblico. La seconda volta nella libreria Mardi Gras, a cura della Fondazione Langer, che si atteggiava a “padrone di casa”, proprio nell’ultima mattina di apertura di Kolibri, la libreria bilingue voluta fra gli altri da Alex. Percorrendo i 200 metri di centro storico che dividono le due librerie, ero pensierosa: le perdite, le morti segnano la nostra esistenza, ci costringono a fermarci e ci fanno riflettere.
Ho preso in mano il libro, con un segno (di Nicola Gobbi) molto duro, con un Alexander tanto diverso da come l’ho conosciuto, una storia costruita in parte come un montaggio cinematografico. Poi Jacopo Frey ha cominciato a raccontare come era stato incuriosito dalla figura di Langer, “incontrato” mentre faceva ricerche sull’ecologismo politico in Italia e i movimenti che ne sono scaturiti. Avevo ascoltato un’intervista dei due autori a Radio Radicale, e mi ha di nuovo colpito la chiarezza con cui i due giovani hanno compreso alcuni aspetti essenziali della sua militanza e della sua persona. Forse una figura apparentemente di secondo piano nella storia politica del Paese, ha detto Frey, ma importante, per le sue “idee larghe” e per la capacità di rinnovarsi attraverso diverse stagioni della politica; proveniente per di più da una zona di frontiera.
Il libro non è una biografia, ma è sorprendente quanto ci si ritrovi di Alex in quest’opera di finzione, ambientata nel tempo delle guerre in Jugoslavia. Gobbi ha parlato di una storia “archetipica”, ma nel racconto ci sono la passione, la sua gentilezza e mitezza, il ponte sulla Drina o di Mostar, intrecciati nella memoria di una convivenza difficile e di un’esperienza sofferta e profonda. E la drammatica esperienza di guerra, la lotta interiore fra il pacifismo e la richiesta di aiuto da parte di popolazioni massacrate. Hanno studiato i suoi scritti, hanno intervistato amici e famigliari. La sua scrittura era immaginifica, hanno detto, con le parabole bibliche a illustrare i progetti politici.
Poi, con il privilegio della gioventù di non avere tabù, l’hanno messo nel pozzo della morte, e di lì l’hanno fatto volare fuori, insieme alle lettere da recapitare a persone separate dalla guerra, per vivere una storia, e infine ce l’hanno rimesso dentro. Ma hanno capito che “non era un uomo autunnale, autunnale era ciò che lo circondava”. È il “nostro Alexander Langer”, hanno detto, quasi a scusarsi. Sparse qui e là si trovano le sue parole, testimonianza di quella capacità meravigliosa di sintetizzare in poche parole concetti ed emozioni complessi. Finora non ho letto nessuna biografia, nessuna antologia che cogliesse così tante verità della sua complicata e ricca esistenza. Con un disegno irreale eppure capace di restituire la dolcezza e l’irriducibile coerenza del protagonista, illustrando in poche immagini un modo di fare politica attiva anzitutto nella pratica personale quotidiana, nelle relazioni, nell’essere presente dove c’è il conflitto, e nel credere in un’Europa diversa da quella che allora rimase immobile di fronte ai massacri fra vicini di casa.