In risonanza
Il cervello creativo
Racconto di questa mostra ancora emozionato dallo spettacolo “Un bès - Antonio Ligabue” messo in scena al Teatro Melotti. Uno spettacolo bellissimo dedicato all’infinita solitudine e diversità dell’artista Antonio Ligabue. Quante volte, alla figura di questo artista diventato nell’immaginario comune l’emblema dell’artista geniale e autistico che si esprime solo attraverso l’arte, sono stati associati aggettivi quali diverso, pazzo, eccentrico?
Eppure l’indefinibilità dell’arte su cui si sono scontrati illustri filosofi dell’Ottocento e che a tutt’oggi appare come un muro di gomma invalicabile, dovrebbe suggerirci cautela. Solo per fare alcuni esempi, nel taglio critico di mostre d’arte cosiddette “scientifiche” e nei saggi più accorti si cade spesso in questo luogo comune. Gli esempi sono molteplici: fin dalle biografie su Caravaggio, e fors’anche prima, per arrivare ai saggi sul ferrarese De Pisis; nella city londinese di un Francis Bacon alcolizzato e al di là dell’oceano con Jean Michel Basquiat, morto ai tragicamente troppo giovane.
Con “In risonanza”, a cura di Francesca Bacci (al Mart di Rovereto, fino al 12 gennaio) il taglio della questione è diverso: a differenza di altre mostre a cui siamo abituati, l’occhio imparziale della ricerca è volto a indagare i meccanismi cerebrali messi in atto durante il processo creativo senza alcun pregiudizio.
In questo progetto i giovani artisti - Fabrizio Berti, Flavia De Carli, Jacopo Dimastrogiovanni, Gabriele Grones, feeela, Annalisa Filippi, Felix Lalù, Luca Marignoni, Federico Seppi e Riccardo Resta- sono sia oggetto che soggetto di indagine. Essi si sono sottoposti a un’osservazione condotta dai ricercatori del CIMeC (Centro interdipartimentale Mente e Cervello), che hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale per misurare e conoscere l’attività dei loro cervelli durante l’ideazione di un’opera. “Non dimentichiamo che le immagini della risonanza magnetica funzionale non sono fotografie del cervello, ma rappresentazioni del suo funzionamento”, ci ricorda la curatrice nel catalogo.
Agli artisti è stato richiesto non solo di fare da cavie durante il processo di elaborazione dell’idea, ma anche di produrre un’opera che è ora esposta nella cornice prestigiosa del Mart, in quella che non è semplicemente una mostra, ma “un’esplorazione antropologica, a cavallo tra le discipline umanistiche e quelle scientifiche, tra arte e neuroscienza, alla scoperta di cosa succede nel cervello di un artista quando crea”.
Il metodo scientifico adottato si inserisce in un filone di ricerca neuroscientifica che sta sfatando molti luoghi comuni e riporta il soggetto creativo all’interno della variabilità fisiologica riconsegnandolo alla sfera della normalità. Distinguendo chi sa masticare il mestiere dell’arte da chi è portato ad altro genere di abilità, le risposte ed il metodo adottato ci consolano togliendo all’artista quell’alone di mistero e di poetica follia a cui ci avevano abituati, senza nulla togliere al valore espressivo delle opere.
Possiamo trarre da quest’esperienza due concetti: il primo è che nel nostro cervello non esiste un’unica facoltà centrale, ma aree diverse per funzioni diverse che si connettono le une alle altre dinamicamente; usando il linguaggio umanistico, sembrerebbe che la mente operi in maniera polifonica come in un grande concerto, dirigendo se stessa. Il secondo concetto è la dimostrazione del perché il creativo, inteso nella connotazione più forte che include anche altre discipline oltre all’arte, possa non essere più considerato quell’individuo squilibrato a cui ci hanno abituato, ma la sua diversità (se essa esiste) va spesso nella direzione contraria di stabilità fra il mondo introspettivo interno e gli input esterni. In altre parole, i dati dimostrano che durate lo svolgimento di una delle pratiche cognitive tra le operazioni mentali più complesse in assoluto, cioè la creatività, l’artista, come un equilibrista, è in grado di giostrare al meglio le connessioni fra la rete, cosiddetta, di default e l’area esecutiva. Egli ottiene così una maggior competenza nella sincronizzazione cerebrale necessaria alla generazione di idee ed al controllo delle stesse.
Forse più che di genio e follia che vanno a braccetto dovremmo parlare di una creatività che possiede due madri, come nella bella storia di Ligabue: una paziente, operosa, ubbidiente ed attenta, e l’altra esuberante, libera, aperta e insofferente, da cui attingere quell’amore e quella passione che ci permettono di sopravvivere come uomini liberi, unici e irripetibili.