Esile e prevedibile

In un villaggio dell’Unione Sovietica, quando la superpotenza c’era ancora, vivono quattro ragazzi: il buono (Kolima), il pazzo/violento (Gagarin), il ciccio e l’occhialuto. Sono piccoli “criminali onesti siberiani”, istruiti dal nonno di Kolima alla rigida, violenta etica-etnica del branco (siberiana, appunto). A loro poi, in età adolescenziale, si aggregherà,ovvio, la bella ragazza. Agli episodi di fraterna delinquenza del passato adolescenziale si intreccia un presente di azioni militari in Cecenia. Ma la storia, nonostante l’impegno a complicarla con un montaggio (tanto di moda) che alterna epoche e divagazioni assolutamente pretestuose, è di una prevedibilità sconcertante. È chiaro fin dalle prime sequenze (vedi la lezione sull’uso del coltello da parte del nonno) come andranno a finire le cose. Assecondando più la sua natura inquieto/deliquenziale che l’educazione siberiana, Gagarin esce dal branco e, sedotto dalla modernità, porterà oltraggio alla comunità attraverso altra delinquenza, altri nemici, altra violenza. Toccherà a Kolima, fedele alle vecchie regole, risolvere le folli deviazioni del vecchio amico. A cornice di tutto, un retorico clima nostalgico, intriso di conflitto interiore, rottura dell’amicizia, memoria tradita, debiti di responsabilità, rivalità amorose. Con una storia così esile, personaggi di vuota bidimensionalità, dinamiche dei rapporti banali e digressioni pretestuose e poco coinvolgenti il film non funziona, non appassiona, non convince. A giustificare personaggi risaputi in una microstoria-pretesto c’è poi una sovrastruttura di personaggi minori, simbologie tatuate, atmosfere, visioni sovraccariche che non vanno da nessuna parte, eppure risultano la parte migliore del film. Come in altre occasioni Salvatores inscena belle immagini e sequenze di un’estetica superficiale