Il Santa Chiara che verrà
Intervista a Francesco Nardelli, direttore del Centro S. Chiara
Nardelli il manager. Sorriso formale, elegante nel suo gessato e nei gesti. Gentile ma cauto. Incalzato dalle domande si esprime circa il suo rapporto più o meno riuscito con le aspettative di discontinuità, rispetto alla gestione precedente, che lo attendevano.
Direttore, facciamo un bilancio dell’attività di quest’anno. Ci sono state delle difficoltà, immaginiamo.
Vista la situazione, tutti gli ambiti in cui devo lavorare sono difficili. Avrei preferito affrontare solo i temi artistici. Per la situazione che ho trovato invece ho dovuto puntare molto sull’aspetto manageriale dell’attività, anche se senza dubbio il ruolo più complesso è un altro, quello di responsabile tecnico. Ad oggi non è prevista nessuna figura che ricopra questo ruolo. Quindi il mio coinvolgimento è a 360 gradi: amministrativo, tecnico, artistico e gestione del personale. Mi avvalgo anche di consulenti specifici, alcuni con un mandato più ampio, altri più stretto, ma rispetto al passato l’ultima parola spetta al direttore, così da correre meno rischi. Io non appalto ma mi confronto, discuto su quali potrebbero essere le linee di proposta e su che cosa si vorrebbe raggiungere; poi andiamo a presentare il piano al consiglio di amministrazione.
Il suo arrivo è stato annunciato all’insegna della discontinuità. Sente di avere centrato questo obiettivo?
Quello che posso raccontare è come io abbia cercato di operare quanto meno con il territorio. E ritengo di essermi avvicinato un po’ a tutte le realtà, cercando di trovare possibilità di interazione. Il Teatro Stabile ha una tradizione e un’attitudine alla produzione nell’ambito delle realtà territoriali che il Santa Chiara non ha ancora, ma si creeranno già a partire dalla prossima stagione. Quest’anno, per esempio, è stato offerto il premio “Nuova scena” alle compagnie del territorio. Il premio si inserisce nel contesto Maggio giovani, in cui tre compagnie selezionate presenteranno ad una giuria, popolare e non, quello che ritengono essere il loro migliore spettacolo. Il premio consiste in una prima messa in scena con un piccolo riconoscimento economico, in un ulteriore riconoscimento economico in caso di vittoria e nell’inserimento dello spettacolo nella programmazione: nostra, quella del Coordinamento e quella dello Stabile.
Attenzione ai giovani quindi?
Nella stagione 2013-2014 avremo due spettacoli che si inseriscono sull’attività dedicata ai giovani. Coinvolgeranno professionisti e non all’interno di un percorso formativo durato mesi. Uno è prodotto da Bolzano e l’altro da Trento col coinvolgimento del Coordinamento Teatrale Trentino. Un progetto fortemente sostenuto dall’Assessorato alla cultura.
Il Coordinamento Teatrale è una realtà piuttosto radicata, così come alcuni festival. Che tipo di rapporto avete con queste realtà?
Il Coordinamento Teatrale ha senz’altro una sua presenza, una sua storia, ha una sua utilità, mi dicono, e con quell’ente abbiamo iniziato un dialogo e un rapporto. Questa forse è la discontinuità di cui si parlava prima. E devo dire che potrebbe essere anche foriero di novità interessanti anche in termini gestionali. Stiamo lavorando su forme di collaborazione per prestazione di servizi. Per quanto riguarda le attività artistiche della Centrale Fies, mi è sembrato da subito un interlocutore col quale confrontarmi. Per il resto va detto che non ho mai chiuso a nessuna collaborazione e ho incontrato parecchie persone che si occupano di teatro in questo territorio. Poi c’è da vedere che tipo di taglio dare. Quello che io mi sono posto è indubbiamente il punto fisso del teatro professionistico.
Anche il mondo della formazione ha la sua importanza non solo per creare artisti ma anche per formare ad una fruizione di qualità
Sì, in questo caso il rapporto che si sta costruendo positivamente è con il conservatorio. Abbiamo avuto quest’anno anche delle collaborazioni con alcune scuole musicali del Trentino, e riguardavano la divulgazione e il decentramento nelle scuole dello spettacolo “La ballata del re silenzioso”. Ci avvaliamo anche di docenti delle scuole musicali territoriali per fare una pre-formazione agli alunni che poi andranno ad assistere agli spettacoli. Manteniamo anche un rapporto con l’Università. Si è riproposto il “Theatrum phlosophicum”, titolo che non mi convince molto per la verità, ma l’interlocutore è importante. È importante avere una contaminazione anche per il nostro pubblico. È un modo nuovo di aprire alla città ambiti che sennò rimangono chiusi in sestessi, come quello universitario. Speriamo che questo venga recepito. Nardelli è un appassionato difensore della lirica ed attento alle tasche del pubblico sempre più vuote. Lo ha detto aprendo la nostra intervista: “Avrei preferito occuparmi solo dell’aspetto artistico”. Ed eccola qua. È bastata una domanda e il sorriso è diventato aperto. La voce ha alzato il tono. La mimica e la gestualità si animano.
Siccome il Centro ha questo spettro di generi ampio, chi stabilisce e in base a quali criteri l’importanza di ciascun genere?
L’importanza di ciascun genere in termini di investimento la stabilisce il Consiglio di amministrazione. Ci sono dei criteri storici. Si parte dal presupposto che quello che c’era si deve mantenerlo, a meno che non si prospettino delle soluzioni alternative altrettanto significative. Rispetto a questo io sono molto convinto del nuovo rapporto instaurato con l’Orchestra Haydn. Insieme all’orchestra e alla Fondazione Teatro Comunale di Bolzano era stato abbozzato dalla precedente direzione un piano abbastanza articolato, col quale dovremo confrontarci. Si era fatto un discorso di regionalizzazione dell’offerta, e quindi di mobilitazione del pubblico, per far sì che gli enti che partecipano a questo progetto lirico diventino, in ambito lirico, i punti di riferimento regionali.
E si sostiene economicamente un’operazione così grossa nella lirica?
Io parto dal presupposto che sia in Trentino che in Alto Adige sono stati investiti per anni svariate centinaia di migliaia di euro per proporre la lirica, per raggiungere determinati risultati anche di visibilità nazionale, alcuni ottenuti e altri meno. Questo anche investendo su alcune professionalità locali. Penso ai cantanti, alcuni ne abbiamo, anche di levatura internazionale; penso agli orchestrali; penso al coro; penso a maestranze tecniche; penso a costumisti e quant’altro. C’è stato oggettivamente un investimento sul territorio, non è che venisse tutto da fuori! Le spese? La programmazione della stagione 2012-2013 è stata fatta con una quota che era meno della metà di quella che era stata destinata negli anni precedenti. Però è stata fatta, e non credo che dal punto di vista qualitativo si sia ottenuto un cattivo risultato. Io dico che della lirica si può fare a meno, certo! Ma allora anche della prosa si può fare a meno, anche del cinema. Sicuramente la lirica, che è lo spettacolo più costoso in assoluto perché dà lavoro a moltissime maestranze, è anche quello più completo.
Anche qui, per la fruizione di una simile forma artistica è necessario un fruitore preparato o quanto meno curioso. Come arrivare a ciò? Come arrivare alle persone?
Stiamo ragionando in un periodo e in un contesto che è oggettivamente critico. Adesso lo spettatore consumatore di cultura si abbona con maggiore difficoltà, preferisce selezionare gli spettacoli sulla base della disponibilità limitata che ha. Da gennaio abbiamo registrato una flessione anche in termini di biglietti. L’attuale congiuntura economica richiede che l’organizzazione della stagione vada ragionata anche su questi aspetti. Ne va della diffusione della cultura all’interno di tutta la comunità.