Inceneritore: bandiera bianca
E così, dopo anni di testardo puntiglio, la Giunta Dellai per bocca dell’assessore Pacher, ha dovuto ammetterlo: ci siamo sbagliati, l’inceneritore non serve.
Ce lo ricordiamo, diversi anni fa, un convegno all’Itc (così si chiamava allora) con la presenza dei massimi esperti nel trattamento rifiuti che tutti convergevano su un punto: raccolta differenziata ed incenerimento sono antitetici, soprattutto per un bacino di utenti relativamente limitato come il Trentino. Bene, Dellai chiudeva il convegno con queste parole: “Oggi si è sfatata una leggenda metropolitana: si è visto come inceneritore e differenziata possano utilmente convivere”.
Se uno ha la testa dura, alla fine se la ammacca. Così Dellai, nel tenere ferma l’inamovibilità dell’inceneritore, ha dovuto via via accettarne il ridimensionamento: dalle 330.000 tonnellate annue iniziali sempre meno fino alle 100.000 dell’ultimo impianto previsto. Il fatto è che se si sensibilizzano i cittadini, se la differenziata aumenta, il residuo da incenerire fatalmente cala; ma gli inceneritori, proprio per le loro caratteristiche, devono essere alimentati in continuazione e, per non essere antieconomici, devono avere certe dimensioni. Un inceneritore da 100.000 tonnellate è troppo piccolo, fuori scala; se poi si considera la propensione dei cittadini ad aumentare la differenziata, e a rendere quindi aleatorie anche quelle centomila tonnellate, è chiaro che il business non c’è più. Ed ecco quindi i bandi indetti dalla Pat andare deserti. “Niente paura, si tratta solo di mettere a punto qualche clausola” assicuravano Dellai, Pacher e il sindaco Andreatta. Fino a che non si sono arresi. L’inceneritore non si fa più, i trentini non avranno sulle proprie teste una ciminiera che sparge polveri, se non veleni.
La motivazione addotta da Pacher per coprire la ritirata è curiosa: “con il prossimo decreto del ministro dell’Ambiente Clini sarà possibile portare i rifiuti fuori provincia, per farli bruciare in centrali termoelettriche”.
Motivazione che pare subito curiosa: la Pat aveva sempre posto come punto eticamente irrinunciabile la non-esportabilità dei rifiuti, per non gravare sugli altri territori. Ora ce se ne dimentica.
Chiediamo un commento a Nimby, l’associazione che da un decennio ha animato, spesso sola contro tutti, un’intelligente e alla fine vincente battaglia contro l’inceneritore: “La storia del decreto è solo un pretesto, in realtà, pur con qualche difficoltà in più, i rifiuti erano esportabili anche prima. Però noi continuiamo a credere nei principi finora sbandierati che ‘chi inquina paga’ evitando le scorciatoie verso combustioni extraprovinciali”.
E allora?
“Con l’incenritore da 100.000 tonnellate si riteneva accettabile smaltire in provincia circa 25.000 tonnellate di scorie, per di più nocive. Ora invece, spingendo solo un po’ di più la differenziata, possiamo avere da smaltire altrettante tonnellate di rifiuto residuo, non nocivo. Crediamo che questa sia la strada, invece che andare a spargere altrove i nostri rifiuti”.