Lavoisier non abita in Trentino
L’inceneritore, cacciato dalla porta, prova a rientrare dalla finestra. Accade a Mori, e stavolta a bruciare dovrebbero essere i rifiuti speciali.
Qualsiasi tecnologia per la gestione dei rifiuti prodotti ha un difetto: i rifiuti prodotti. Il rifiuto migliore è infatti quello che non si produce. Questo vale per i rifiuti urbani, ovvero quelli prodotti nelle nostre case, e vale anche, forse a maggior ragione, per i rifiuti cosiddetti speciali, ovvero quelli prodotti dalle attività produttive.
Qualunque proposta tecnologica per la gestione dei rifiuti deve necessariamente essere preceduta, nel dibattito politico e quindi nella programmazione amministrativa, da una proposta per la massima riduzione possibile dei rifiuti medesimi. Lo dicono le normative, comunitarie, nazionali e provinciali: la gestione dei rifiuti deve seguire sempre il medesimo ordine di priorità: prima riduzione, poi riuso, solo al terzo posto il riciclo, solo al quarto il recupero energetico e solo all’ultimo lo smaltimento in discarica.
Riciclare senza ridurre
Agli abitanti del comune di Mori, e più estesamente agli abitanti trentini, la ditta SOFC Syngas srl di Trento ha fatto la sua proposta: un impianto tecnologico per la gestione dei rifiuti speciali, che porterebbe al riciclo di una parte di essi, al recupero energetico di un’altra e allo smaltimento in discarica di una terza parte, ridotta (vedi box). A dire del proponente, questa tecnologia sarebbe a basso, bassissimo impatto ambientale.
Ma non è questo il punto decisivo (sebbene vi si debba tornare, e fra poco lo faremo).
Il punto è che l’impianto proposto nulla fa per le due soluzioni dichiarate prioritarie dalla legge: la riduzione e il riuso. Anzi, ad esso resta in capo il difetto ineliminabile di andare nella direzione opposta: avalla, o meglio richiede, una produzione annua di rifiuti costante (per la precisione, 60.000 tonnellate l’anno).
Nel solo Trentino si produce una quantità di rifiuti speciali dieci volte maggiore (600.000 tonnellate l’anno), ed è vero che la loro gestione, in questo momento, ha comunque un impatto ambientale. Non è, probabilmente, compito della SOFC Syngas proporre soluzioni per la loro riduzione, ed è vero, ancora, che la riduzione dei rifiuti speciali richiede uno sforzo notevole, almeno pari a quello necessario per ridurre i rifiuti urbani. Tutto questo, tuttavia, non fornisce alcuna buona ragione per accettare una proposta come quella della SOFC Syngas.
Immaginiamo di abitare in una casa piena di spifferi con una caldaia molto vecchia e poco efficiente, e che venga qualcuno a proporci: “Perché non cambi caldaia e ne metti una più efficiente?”. Se accettassimo la proposta senza prima cambiare gli infissi ed eliminare così gli spifferi, faremmo una cosa poco sensata. Lo stesso varrebbe se si prendesse in considerazione la proposta della SOFC Syngas senza che prima, nel dibattito politico trentino e conseguentemente nella programmazione amministrativa, fossero avanzate proposte concrete per la riduzione dei rifiuti speciali, da attuare introducendo sistemi di produzione sostenibile nelle aziende trentine. Su questo terreno, non solo a livello provinciale, è stato fatto ben poco, sinora, per non dire nulla. E se un merito la proposta della SOFC Syngas ce l’ha, è quello di aver dato un motivo in più per cominciare a occuparsene.
Un esperimento rischioso
Nel merito dell’impianto proposto, poi, esistono aspetti tecnici legati all’impatto ambientale che sollevano grosse perplessità. È la stessa SOFC Syngas che, nei fatti, lascia adito a potenti dubbi. Nel “Rapporto Ambientale di Localizzazione” depositato in Provincia si legge: “In una prima fase l’impianto proposto prevede l’installazione di uno o più motori cogenerativi tradizionali (CHP-Combined Heat and Power: cogenerazione di calore ed energia elettrica); questi saranno sostituiti in una fase successiva con delle celle a combustibile (SOFC) il cui sviluppo e realizzazione sono l’obiettivo principale di questa iniziativa. Già al secondo anno di esercizio dell’impianto s’intende iniziare con l’installazione dei primi prototipi di celle a combustibile, per poi nel giro di 3-4 anni sostituire completamente il motore CHP con le celle a combustibile”. In pratica, gli abitanti di Mori farebbero da cavie per la sperimentazione di un prototipo.
In aggiunta, e ancora più importante, non è per niente chiarito, a impianto definitivo funzionante, quale sarà il vero impatto ambientale determinato dall’emissione in atmosfera dei composti organici tossici e delle nanoparticelle minerali prodotti nelle due fasi preparatorie del syngas (il gas di sintesi che originerebbe dal processo): la gassificazione a 850°C, con produzione di idrogeno e ossido di carbonio “sporchi”, e la successiva “pulitura” nel convertitore al plasma che lavora a 7.000-8.000°C.
La legge di Lavoisier varrà sempre, anche nella Provincia autonoma di Trento: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Se bruci, ciò che hai bruciato non sparisce, ma cambia forma. Da un punto di vista ambientale e soprattutto sanitario, questa forma diversa in genere è più pericolosa.
Chi s’illudeva che la classe dirigente trentina lo avesse capito, accantonando l’inceneritore di Trento, deve ricredersi. E iniziare una nuova battaglia.
L’inceneritore di Mori: cos’è?
Si tratta di un impianto tecnologico di gassificazione (leggi “incenerimento”) che la ditta SOFC Syngas srl di Trento vorrebbe costruire nel comune di Mori.
Cosa vi entrerebbe? 60.000 tonnellate l’anno di rifiuti speciali (ovvero prodotti dalle utenze non domestiche) non pericolosi.
Cosa ne uscirebbe? I rifiuti speciali sarebbero pre-trattati meccanicamente e dal pre-trattamento il proponente prevede residuino 500 tonnellate di rifiuto riciclabile e 4.000 tonnellate di acqua evaporata. Sarebbero quindi 55.500 le tonnellate che finirebbero nel processo di gassificazione, dal quale il proponente prevede residuino 10.000 tonnellate di materiale inerte vetrificato riutilizzabile: 500 tonnellate di metalli e 1.500 tonnellate l’anno di ceneri da destinare in discarica. E le restanti 43.500 tonnellate? Verrebbero gassificate (leggi “bruciate”) e diventerebbero gas di sintesi, il cosiddetto “syngas”, da bruciare a sua volta per produrre energia elettrica (per il fabbisogno annuo di circa 10.000 persone) e termica (per scaldare ogni anno un centinaio di condomini).
E le emissioni? Praticamente nulle, dice il proponente, e insieme a lui i politici che lo spalleggiano, dimenticando l’esistenza della legge di Lavoisier. Dopo aver già scordato anche le leggi vigenti in materia, che per principio prima chiedono riduzione e riuso dei rifiuti, e soltanto poi riciclo e recupero.
Finalmente un parere scientifico
Medicina Democratica, insieme all’associazione Albora di Mori, ha presentato a Comune e Provincia le sue osservazioni alla proposta della società Sofc Syngas srl di realizzare a Mori un impianto per il recupero di rifiuti non pericolosi. Emergono finalmente elementi “di contenuto” che erano rimasti estranei al dibattito dei giorni scorsi, svoltosi fra partiti in odore di campagna elettorale che non hanno mancato di strumentalizzare l’argomento.
Primo elemento chiave: l’area non è adatta a ospitare un impianto simile. A dirlo sono gli stessi strumenti di pianificazione provinciali. Il Piano Urbanistico Provinciale la classifica come “area di tutela ambientale”, e prevede che la sua trasformazione in nuova area “di progetto” sia subordinata a indagini che ne assicurino la sostenibilità ambientale e all’approvazione da parte dei Comuni interessati di appositi piani attuativi: nulla di tutto ciò è avvenuto in relazione alla località Casotte di Mori, dove l’impianto è previsto. Inoltre, il Piano Generale di Utilizzazione delle Acque Pubbliche definisce l’area “ad elevata pericolosità idrogeologica”.
Secondo elemento chiave: il rapporto del proponente non fornisce informazioni sufficienti a proposito del reale impatto ambientale (e sanitario) dell’impianto. Per quanto riguarda i residui, ad esempio, Medicina Democratica fa notare come le ceneri generate dall’impianto sarebbero un rifiuto pericoloso, mentre il proponente asserisce il contrario (uno dei tanti passaggi contraddittori, tendenziosi od omissivi che Medicina Democratica ha rilevato nel rapporto della Sofc Syngas). Inoltre, si riscontrano elementi che lasciano supporre concentrazioni nelle emissioni di ossidi di zolfo e di azoto superiori ai limiti normativi. Solo “supporre”, in quanto, denuncia Medicina Democratica, i dati forniti sono a tal punto parziali e contraddittori da impedire una valutazione adeguata.
L’aspetto più allarmante che emerge dal documento di Medicina Democratica è proprio la tendenziosità del proponente, riscontrabile soprattutto nel modo in cui la Sofc Syngas liquida le possibili alternative al suo impianto. Asserisce che le uniche alternative per la gestione dei rifiuti destinati all’impianto sono la discarica o l’incenerimento, ma resta così vaga nell’individuare le tipologie di rifiuti che vi potrebbero entrare da rendere ammissibili anche quelli che si potrebbero recuperare in altro modo (inclusi persino i rifiuti urbani raccolti in modo differenziato). Confronta poi l’impianto solo con altri impianti di recupero termico, tralasciando quelli di recupero meccanico, e lo fa solo con riferimento alle emissioni di gas serra e al potenziale di acidificazione, dimenticando il confronto sul piano del danno ambientale e sanitario.
Per tutti questi motivi, conclude Medicina Democratica, l’istanza della Sofc Syngas andrebbe rigettata. Finalmente un parere scientifico.
Se a finire incenerito è il PD
Poco prima di Natale l’Adige rende pubblico il fatto che la SOFC Syngas srl di Trento ha avviato l’iter di Valutazione Ambientale Strategica di un impianto per la gassificazione dei rifiuti da costruire nel comune di Mori. I 10.000 abitanti del secondo centro della Vallagarina cascano dalle nuvole. Tutti, tranne il sindaco Roberto Caliari e la sua giunta (sostenuta da una lista civica e dal PD), che già da tempo ne erano a conoscenza, e candidamente dichiarano, a quel punto, che si tratta di una grande opportunità economica per la collettività, per di più “verde”. Non la pensano allo stesso modo le opposizioni, che nei giorni seguenti si scatenano: in particolare il M5S, che si schiera per il no, mentre il PATT chiede stizzito spiegazioni, per bocca del suo leader lagarino, il consigliere provinciale Lorenzo Baratter. In pochi giorni, Caliari e i suoi restano isolati. Ma perseverano, patrocinando una serata informativa organizzata dai proponenti per correre ai ripari, spacciandola per super partes.
E il PD? A Mori come a Trento, tentenna e balbetta (con l’eccezione del sindaco di Rovereto Miorandi, che bolla l’impianto come “vecchio e inutile”): dalla prima forza politica moriana e trentina, nessuna presa di posizione immediata e nitida, solo un timido invito alla prudenza e un tardivo “sospendiamo tutto” a buoi già scappati. A maggio a Mori ci sono le elezioni comunali, e un primo rifiuto l’inceneritore forse l’ha già bruciato: il partito al governo.