Un altro tempo
Tra decadentismo e modern style
Se c’è un aggettivo che assolutamente non si adatta all’ultima mostra inaugurata al Mart, questo è “popolare”. Disillusa quindi l’aspirazione dei commercianti roveretani ad un evento da grandi numeri, così come quella del Presidente della Provincia, che, in vista degli imminenti tagli, ha recentemente fatto appello alla “sobrietà” anche in campo culturale. Tutt’altro che sobria e popolare, ma altresì snob, eccentrica -e probabilmente piuttosto dispendiosa-, la mostra in corso al museo fino al 13 gennaio 2013, curata dalla nota critica d’arte Lea Vergine con l’obiettivo dichiarato di trasportare il visitatore in Un altro tempo, lontano dagli affanni e dalle preoccupazioni del presente.
L’ingresso a questo altrove avviene attraverso un lungo e stretto corridoio in penombra, al quale si accede attraverso una porta incastonata tra un agglomerato di vecchi mobili dipinti di bianco (il pensiero corre subito al viaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie, evocato dalla precedente mostra del Mart e simbolo di quell’estetica vittoriana che i protagonisti della nuova esposizione si proposero esplicitamente di rinnovare). In fondo al corridoio, come una buona padrona di casa, l’immagine della poetessa inglese Edith Sitwell accoglie i visitatori all’interno di un ambiente intimo e domestico, che intende rievocare l’atmosfera ovattata di una casa di Bloomsbury: il quartiere di Londra che a inizio ‘900 diede il nome al sodalizio di artisti e letterati radunatisi intorno alle carismatiche figure di Virginia Woolf e della sorella Vanessa Bell. Un altro tempo tutto al femminile, anche se popolato da una miriade di uomini (artisti, critici, poeti, politici) legati alle due protagoniste da intimi rapporti di amore e fratellanza. Difficile infatti districare la matassa delle relazioni interpersonali intrecciatesi in questa sorta di comune ante litteram, in cui tante personalità eclettiche e geniali si scambiarono letti e idee, animate da ideali collettivi ispirati alle teorie di G. E. Moore, allora professore di filosofia a Cambridge. Vanessa Bell e Duncan Grant sul fronte delle arti, Virginia Woolf, Lytton Stratchey ed Ezra Pound sul fronte poetico-letterario, Leonard Woolf e John Maynard Keynes sul fronte politico-economico, Roger Fry e Bernard Berenson su quello della critica d’arte, sono alcuni tra i nomi più illustri che gravitarono intorno al circolo di Bloomsbury, nato informalmente nel 1904 con il trasferimento nel quartiere londinese dei fratelli Sthepens (Vanessa, Toby, Virginia e Adrian).
Tra i risultati più concreti di questo sodalizio, vanno sicuramente annoverate le opere uscite dagli Omega Workshops, veri e propri laboratori di arti applicate, animati a partire dal 1910 dall’artista e critico d’arte Roger Fry con il contributo determinante di Duncan Grant e Vanessa Bell. Nelle sale della mostra è possibile ammirare la poliedricità di alcuni oggetti marcati dalla lettera O, frutto di un lavoro collettivo volutamente anonimo, concretizzatosi nella produzione di arredi, tessuti, tappezzerie, ceramiche e illustrazioni per copertine di libri (in particolare quelli usciti per i tipi di “The Hogarth Press”, casa editrice fondata nel 1917 da Leonard e Virginia Woolf). Esemplari anche per comprendere l’influenza sul gruppo delle maggiori correnti d’avanguardia dell’epoca, i due paraventi esposti all’inizio e alla fine del percorso, entrambi realizzati nel 1913: uno allude alle ricerche primitivistiche dell’espressionismo tedesco (Vanessa Bell, Paravento: bagnanti in un paesaggio), l’altro risente della moda del “giapponismo”, lanciata in Europa sul finire dell’800 dagli artisti francesi (Duncan Grant, Paravento con ninfee). Un paravento giapponese è chiaramente visibile anche alle spalle del personaggio ritratto in una delle opere pittoriche più interessanti presenti in mostra (Duncan Grant, Ritratto di James Strachey), che denuncia l’amore dell’autore per il movimento fauves. Tutto ciò a dimostrazione dell’ecletticità delle influenze che convergono sul gruppo di Bloomsbury, spesso descritto come un circolo molto chiuso ed autoreferenziale, ma in realtà impregnato delle più avanzate ricerche d’avanguardia, costantemente in bilico tra decadentismo e modernità, anche se con esiti piuttosto distanti da quelli raggiunti negli altri paesi europei. Lo stesso discorso è in parte applicabile anche al movimento vorticista, trasposizione pittorica della lirica di Ezra Pound, assolutamente incapace di eguagliare i risultati del movimento futurista che pur lo aveva ispirato (l’unico in grado di competere con gli artisti italiani ma purtroppo, come alcuni di loro, stroncato dalla Prima Guerra Mondiale, fu lo scultore Henry Gaudier-Brzesha, di cui è possibile ammirare in mostra la Testa ieratica di Ezra Pound, suo principale mentore e ispiratore).
Si tratta di opere esposte per la prima volta fuori dall’Inghilterra, testimonianza di “un’isola di storia dell’arte mai considerata prima”; come afferma la curatrice stessa: “Non saranno tra le realizzazioni più alte del secolo [...] Una mostra non si fa solo per guardare e vedere ma anche per sapere”. Peccato però che l’assoluta mancanza di apparati didascalici renda le opere mute alla comprensione dei più, mentre risulta di sicuro effetto scenografico l’atmosfera “polverosa” evocata dal suggestivo allestimento ideato per l’occasione dallo stilista Antonio Marras.