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Giovani a rischio NEET

Jacopo Zannini

Non credo che quando i CCCP scrissero la nota canzone “Io sto bene”, avrebbero potuto immaginare quanto profetica sarebbe diventata la strofa “Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema non faccio sport” per molti giovani italiani.

L’acronimo Neet (Not in Education, Employment or Training), che non è ancora entrato nel parlare comune, indica il fenomeno dei giovani che non studiano, non sono impegnati in attività formativa e non lavorano e quindi spesso si trovano in una situazione di esclusione. Da analisi di esperti risulta che la condizione dei NEET spesso è legata alla modesta mobilità sociale e in particolare alla scarsa possibilità dei giovani provenienti da famiglie con bassi livelli d’istruzione di percorrere tutto il percorso di studio fino alla laurea.

In Trentino, nel 2011, il tasso di disoccupazione giovanile fra i 14 e 24 anni ha raggiunto il 14%, con un aumento nell’ultimo trimestre; certo il nostro contesto si differenzia molto rispetto alla gran parte del paese, perché abbiamo ancora reti sociali e parentali solide, che però con gli attuali tagli che minacciano la nostra Autonomia potrebbero frantumarsi. I NEET in Italia sono circa due milioni, in larga parte concentrati nel Sud, ma l’anomalia del nostro contesto locale non deve farci abbassare la guardia.

Questi preoccupanti dati nazionali scaturiscono anche da scelte culturali e politche, infatti l’Italia si colloca all’ultimo posto (0,2% rispetto alla media Ue pari all’1,4%) per le risorse destinate al sostegno al reddito, alle misure di contrasto alla povertà o alle prestazioni in natura a favore di persone a rischio di esclusione sociale. Al sostegno per la disoccupazione e alle politiche attive per il lavoro è riservata solo l’1,9% della spesa, contro il 5,2% dell’Europa. Ma sono proprio queste le leve su cui si dovrebbe agire.

Il nostro è un paese che investe pochissimo sulle giovani generazioni, è cosa nota. Ma attenzione: pur non brillando per investimenti sociali, la quota del PIL riservata alla spesa sociale non si colloca molto al di sotto della media europea. È la composizione delle spesa che denota una scarsa attenzione alle problematiche giovanili. Sarebbe importante che con più precise “politiche attive per il lavoro” e attraverso l’istituzione di un “reddito minimo garantito”, si provasse e dare un sostegno alla fragilissima situazione in cui si trovano molti giovani.

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