Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Ungheria: cosa sta succedendo?

Le cause di una deriva autoritaria. Da “Una Città”, mensile di Forlì.

Andrew Arato
Budapest, la sede del Parlamento

L’Ungheria, come altri paesi europei, è stata investita da una grave crisi economica. Ma in Ungheria questa crisi è cominciata prima, e si è trasformata anche in crisi politica. Nel settembre del 2006 venne diffusa la registrazione audio di una riunione del partito socialista in cui il premier, Ferenc Gyurcsány, un tecnocrate, confessava d’aver deliberatamente nascosto ai cittadini la grave situazione economica del paese e di avere, di conseguenza, vinto le elezioni grazie alle menzogne.

Questo portò a manifestazioni e tensioni e, di conseguenza, ad atti di violenza da parte della polizia. Il governo gestì male la vicenda, e alla successiva tornata elettorale il partito dell’attuale premier Viktor Orban, Fidesz, vinse le elezioni a man bassa. A ciò si aggiungeva una situazione economica da tempo molto precaria, con un pesante calo dell’occupazione, comune ad altri paesi, soprattutto a scapito dei più giovani.

Tutto questo nel tempo contribuì all’emergere della destra estremista. Parlo dello Jobbik, un partito riconducibile più alla tradizione nazista ungherese che alla tradizione della destra europea.

Fidesz, nato nel 1988 col nome di “Alleanza dei giovani democratici” (Fiatal Demokraták Szövetsége), nell’89 si era distinto tra quelli che promuovevano un cambio di regime. Solo col tempo si è trasformato in un partito di destra. Conosco personalmente il primo ministro Orban, l’ho incontrato in occasione di alcune conferenze che ho tenuto ai “giovani democratici”: nell’89 Orban era un liberale e anche una persona con grandi capacità politiche, che capì prima del partito liberale (allora alleato dei socialisti al governo) che in Europa, e soprattutto nel contesto di un cambio di regime, non c’era futuro per un partito puramente liberale. Per cui già alla fine degli anni ‘96-’97 cominciò a spostarsi verso posizioni autoritarie e populistiche di destra, una trasformazione che lo portò a entrare nel governo all’indomani delle elezioni del 1998 e ancora nel 2002.

La Costituzione incompleta

L’Ungheria ha avuto un cambio di regime che solitamente avviene in due momenti: una fase negoziale che introduce una costituzione temporanea, e una seconda fase, preceduta dalle elezioni, in cui un’assemblea costituente redige la costituzione definitiva. In Ungheria, la prima fase (quella che ha portato alla costituzione ad interim attraverso una serie di tavole rotonde), ha prodotto un esito democratico liberale, ma la costituzione provvisoria non è mai stata sostituita: tutti gli sforzi fatti dal 1994 al 1998 per arrivare a una costituzione definitiva sono falliti.

Il paradosso è che era stato messo a punto un metodo con un alto livello di consenso e partecipazione da parte dei partiti, che tuttavia è stato boicottato dai suoi stessi promotori, i socialisti, che alla fine non hanno votato per il prodotto di questa costituente che essi stessi avevano guidato. Perché è accaduto? Perché i socialisti puntavano a includere una seconda Camera (delle corporazioni); perché volevano un tavolo sui diritti sociali e infine perché consideravano la costituzione che ne era uscita troppo liberale.

Alcune ragioni erano buone altre no, ma il punto è che votare contro il prodotto di un processo fortemente partecipato, di cui peraltro eri stato il maggior promotore, si è rivelata una mossa disastrosa. Conosco i retroscena perché ho partecipato al processo come consulente, ho pure scritto alcune norme relative agli emendamenti per la costituzione. Il Parlamento mi ha anche pagato! Anch’io sono stato deluso per come il processo è fallito.

Comunque il punto è che, non essendosi concluso l’iter previsto, la costituzione ungherese è rimasta quella ad interim cioè, come denuncia la destra, una sorta di emendamento della Costituzione stalinista del ‘49. Questo ha dato buoni argomenti a Orban che da tempo, e legittimamente, denunciava il fatto che l’Ungheria non ha una costituzione definitiva. Da questo punto di vista Fidesz ha delle giustificazioni nel cercare ora di completare il processo; quello che è di dubbia legittimità è la strada che hanno scelto.

Fidesz ha potuto riscrivere la costituzione forte di una maggioranza di due terzi di una singola camera. Questo è stato possibile perché la legge elettorale ungherese prevede un forte premio di maggioranza, quindi col 52,7% dei voti Fidesz ha avuto i due terzi dei seggi in Parlamento. Ora, tra il ‘94 e il ‘98 anche il centrosinistra aveva il 70% del Parlamento, ma anziché usarlo subito per fare una propria costituzione, ha messo in piedi le procedure necessarie a muoversi con il massimo consenso. Al di là dell’esito, che fu appunto deludente, comunque all’epoca il primo tentativo fu all’insegna del consenso, quello di Fidesz invece è stato subito dichiaratamente maggioritario.

Le questioni costituzionali non attirano mai molto interesse. Solo ora che è stata sollevata l’attenzione internazionale, molti han cominciato a capire che c’è qualcosa che non va.

Paradossi

Il premier ungherese Viktor Orban

Molte delle misure adottate sono state introdotte attraverso degli emendamenti alla vecchia costituzione, prima cioè della promulgazione della nuova. Le aree interessate sono sostanzialmente quattro. Una è quella dei media che, attraverso la cosiddetta legge bavaglio (emanata prima della nuova costituzione) sono stati sottoposti a comitati di controllo governativo.

Poi c’è l’area giuridica: il governo ha aumentato il numero dei giudici costituzionali nominando figure che presumibilmente voteranno in modo più favorevole al governo. Questo è successo anche in Turchia, dove Erdogan ha fatto un referendum in proposito. In Ungheria non c’è stato bisogno di referendum, perché due terzi del parlamento possono cambiare le leggi della Corte costituzionale. Si sono praticamente fatti una corte secondo i loro desideri. In terzo luogo, stanno estendendo i mandati di alcuni organi di controllo in modo che i membri di Fidesz mantengano le loro posizioni anche oltre le prossime elezioni.

Infine è stato fatto passare un pacchetto di leggi che fa sì che qualsiasi cambiamento futuro in materia legislativa richieda una maggioranza dei due terzi del parlamento, non più la semplice maggioranza, anche per le leggi ordinarie. Ciò significa che Fidesz sta varando delle leggi che difficilmente potranno essere modificate da un Parlamento futuro, a meno che qualcun altro non abbia due terzi del Parlamento. Scenario poco verosimile, visto che nella legge elettorale in discussione stanno anche riformando i distretti elettorali in modo da agevolare la vittoria di Fidesz.

Il paradosso è che Fidesz sta facendo passare delle misure che potrebbero inibire la sua stessa capacità di governare in futuro. Se ad esempio tornassero al potere in una nuova tornata elettorale, senza però ottenere i famosi due terzi, loro stessi non saranno in grado di cambiare le leggi che hanno fatto passare. Quindi non potranno nemmeno cambiare la legge dei due terzi. Non è una cosa da poco: per esempio, in campo economico ciò significherebbe che il governo non potrà cambiare le politiche fiscali o lo status della Banca nazionale.

Fidesz ha ridotto il carattere liberale della costituzione, indebolendo la Corte costituzionale e anche i tribunali ordinari. Ha inoltre approvato una serie di leggi con l’obiettivo di mantenere il potere nelle sue mani. Dall’altra parte, però, ha varato delle misure che vanno in senso opposto. Non so quale sia il calcolo. Forse vogliono fare in modo che se sale al potere un altro partito si trovi un paese ingovernabile; questa strategia ha però il difetto di rendere il paese potenzialmente ingovernabile anche per loro.

L’inizio del declino

All’inizio dell’anno c’è stata una grande mobilitazione popolare, ed anche nei sondaggi Fidesz sta perdendo quota. È ancora il maggior partito, ma è in calo. Il problema è che i voti persi da Orban, soprattutto quelli dei giovani, stanno andando in parte verso lo Jobbik, il partito neonazista. Questa è una novità: in passato lo Jobbik era costituito soprattutto da vecchi nostalgici; ma in assenza di un’opposizione organizzata, spesso la protesta assume forme radicali e irrazionali. Quindi possiamo dire che un’opposizione sta emergendo, ma è ancora molto debole, disorganizzata e in parte è un’opposizione da destra.

L’Unione Europea ritiene inaccettabile un governo autoritario di questo tipo. Le sfide alla Commissione sono venute in primo luogo dalle scelte di politica economica, in particolare dall’attacco all’autonomia della Banca centrale. Il Parlamento europeo è stato abbastanza energico nel condannare tutto questo. E poi c’è l’opinione pubblica europea che è stata unanime nel condannare le politiche di Orban. Questo ha sortito degli effetti sull’opinione pubblica ungherese che certo non desidera rimanere isolata in Europa. La prospettiva di un’Ungheria che guarda a est, verso la Bielorussia e la Russia di Putin, non è desiderabile per gli ungheresi.

C’è poi il livello giuridico. Molti dei giudici rimossi dai propri uffici con un pensionamento forzato si sono appellati alla Corte europea per i diritti umani. Così hanno fatto personalità del mondo dei media. I casi si moltiplicheranno e questo, verosimilmente, porterà a delle sanzioni da parte della Commissione europea, per cui credo che le pressioni aumenteranno. Come poi questo interagirà con la politica nazionale, ecco questo non lo so.

* * *

Andrew Arato, costituzionalista di origine ungherese, insegna Teoria politica alla New School di New York.

 

Parole chiave:

Articoli attinenti

In altri numeri:
La libertà è ancora in pericolo
Matteo Angeli

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.