Così è (se vi pare)
Così è... un capolavoro
Quando un testo è un capolavoro? E perché? Trattandosi di Pirandello, una risposta è impossibile, dato che il tema di “Così è... (se vi pare)” è l’inesistenza della Verità. Allo spettatore cui questo dramma sembra - con legittimità pirandellianamente autorizzata - un capolavoro, si presentano, armati e ben disposti, alcuni buoni argomenti.
La costruzione dei dialoghi è semplicemente travolgente: un gruppo di persone s’interroga sui comportamenti misteriosi di due donne e un uomo giunti in paese, dal “lontano” Abruzzo devastato da un terremoto. Apparentemente, marito e moglie, che vivono sotto lo stesso tetto, e la suocera di lui, sistemata in un appartamento debitamente a distanza. I vicini, e con loro la comunità intera, pretendono di sapere quali siano gli esatti rapporti affettivi e anagrafici tra i tre forestieri. Indagano, li coinvolgono, in un crescendo di svelamenti e colpi di scena che invece di far emergere la Verità, ne fanno scaturire due, equivalenti, plausibili e, infine, una terza, ovviamente paritetica alle prime due. I dialoghi sono al servizio di un’intransigente quanto esilarante analisi sociologica, in cui emergono la diffidenza, la perfidia, l’intolleranza e la violenza della moltitudine rispetto alla diversità e all’intimità altrui. Come già accennato, un secondo discorso, filosofico, permea come una doppia pelle il testo, distruggendo la presunzione di chi ricerca una Verità assoluta, provabile e provata, in contrasto con la relatività dei punti di vista, e persino affermando l’inesistenza dell’individuo di fronte alle molteplici opinioni altrui: è il tema pirandelliano per eccellenza, riassumibile con il titolo di un’altra celebre opera del drammaturgo siciliano, Uno, nessuno e centomila.
Tuttavia, non basta un capolavoro per mettere in scena un capolavoro. Ci riesce, invece, per fortuna nostra, Michele Placido, che realizza pertanto un capolavoro al quadrato, giovandosi di un’accurata scenografia (allusiva a uno specchio infranto) e di un cast irreprensibile, imperniato su tre eccezionali interpreti come Giuliana Lojodice (la signora Frola), Pino Micol (il signor Ponza, suo genero) e Luciano Virgilio (l’ing. Laudisi, cinica e caustica voce autoriale in scena).
All’Auditorium applausi a scena aperta (non sempre opportuni, ma il pubblico ormai è questo, antropologicamente parlando), fragorosa standing ovation finale, con tanto di apparizione del deus ex machina, il Placido regista.
Certi spettacoli dovrebbero poter essere rivisti, come avviene per il cinema.