Peggio della Gelmini
L’assurda riforma dell’assessora Kasslatter Mur
Il mondo della scuola sudtirolese è percorso da una grande agitazione. La riforma Gelmini, che sta riducendo il diritto allo studio e alla formazione dei giovani (impressionante il dato del calo di diplomati appena dopo tre anni dalla sua entrata in vigore) c’entra indirettamente, perché la Provincia autonoma ha appunto competenza in materia. Ma come la usa?
L’assessora alla scuola Kasslatter-Mur sta usando l’ultimo scorcio del suo mandato - secondo le norme del partito non potrà più avere cariche in Provincia e verrà candidata al parlamento - per fare una riforma che fa impallidire quella del resto d’Italia. Il suo scopo dichiarato è ridurre drasticamente le ore di insegnamento a non più di 4 e mezzo al giorno, sabato libero, recupero nei pomeriggi e in due settimane, una prima dell’inizio del calendario annuale e una alla fine, con i maturandi che non hanno pausa fra la scuola e l’esame. La destra del partito si dichiara a favore di un drastico aumento del monte ore. Tutti i cicli, secondo l’assessora, devono essere uguali: uguale calendario dalla scuola per l’infanzia alle superiori e uguale distribuzione di ore.
La riduzione dell’orario è stata respinta dal Consiglio scolastico provinciale, ma in cambio l’assessora ha ottenuto di organizzare l’insegnamento in blocchi. Significa che non solo le materie tecniche, ma anche le lingue vanno insegnate per più ore di seguito. L’anno scorso in una scuola tecnica superiore di lingua tedesca c’erano in orario tre ore di italiano (seconda lingua) di seguito. Al liceo faranno tre ore di fila di greco? Chi abbia imparato almeno una lingua straniera nella sua vita sa che si tratta di un’idiozia didattica. Ma la contraddizione fra gli obiettivi enunciati e la reale gestione politica della scuola sudtirolese è tanto grande, che proprio le ore di seconda lingua, nel momento in cui la società chiede a gran voce un miglioramento, sono state ridotte in parecchie scuole superiori di lingua tedesca. Quelle di lingua italiana sono state salvaguardate dal principio dell’uso veicolare della seconda lingua.
Lo spostamento delle cinque ore del sabato sui pomeriggi significa però per gli studenti un peggioramento della vita. Non esistono mense scolastiche e studenti e scolari si devono arrangiare mangiando schifezze ai fast-food. La mattina a scuola vengono istruiti sul cibo biologico e sano, e a mezzogiorno dalle scuole partono le telefonate alle pizzerie a domicilio o si va sul panino. Un eventuale intervento viene scaricato sui comuni, che come al solito ottengono competenze ma non i soldi per esercitarle. Una vergogna. Nella città di Bolzano ci sono 35 scuole superiori, con 12.000 studenti, il 60% dei quali vengono da fuori città (notizie dell’assessora comunale Pasquali). Passare tre pomeriggi a scuola significa arrivare a casa la sera stanchi morti e - dicono le/gli insegnanti e i pochi presidi ancora interessati ad altro che non sia far tornare i conti - non avere il tempo per lo studio individuale, indispensabile per la loro formazione.
I docenti sono anche preoccupati per il troppo tempo libero, due giorni, sabato e domenica, che molti giovani trascorrono davanti al televisore o nei bar. Non è vero infatti ciò che sembrano credere gli ipocriti politici (proprio loro!) provinciali, che quando sono a casa trascorrano due giorni in famiglia: i genitori in gran parte sono occupati con gli alberghi e le attività legate al turismo e comunque i giovani preferiscono stare fra di loro. Decisioni prese per i 50.000 impiegati provinciali e affini, ha scritto qualcuno.
Gli insegnanti sono umiliati dalle scelte politiche imposte, senza tenere conto del loro parere e del parere di molte famiglie, dalle norme e da presidi selezionati per presunte qualità manageriali e cui non viene richiesta alcuna formazione pedagogica. All’autonomia scolastica, che la Provincia di Bolzano a suo tempo ha cercato in ogni modo di non introdurre, ma ora è un principio cardine della nuova scuola, è stata sottratta la competenza sull’orario, strumento indispensabile per adeguare la scuola alle esigenze territoriali, delle famiglie e dei vari cicli.
Ridurre il monte ore è un vecchio refrain del mondo contadino sudtirolese, diffidente verso gli “studiati”. Un mondo però che è cambiato profondamente e che ha visto nell’ultimo decennio un significativo recupero del gap di laureati che caratterizzava il Sudtirolo negli anni ‘80, e un atteggiamento ben diverso da parte della popolazione, che se può manda i figli a università anche lontane, alla ricerca di quella qualità che qui viene sbandierata dal marketing, ma di cui si dubita. A conferma, si ha notizia di un parere commissionato dalla LUB a sei docenti universitari tedeschi, che fa carta straccia della presunta internazionalità della nostra libera università, ne lamenta la mancanza di confronti con le altre università europee, e ne giudica gravemente carente la trasparenza nella valutazione dei docenti. Proprio le caratteristiche che ne dovrebbero garantire la specialità. Il parere, non gradito, è stato nascosto in un cassetto dai committenti.
Ora l’attacco alla scuola, portato avanti con il rigido criterio dell’uniformazione (niente differenze fra cicli e neppure gruppi linguistici, salvo i felici ladini che sfuggono a queste manovre con la loro bella scuola trilingue e quadrilingue), colpisce tutti, ma soprattutto le famiglie con problemi, meno benestanti, o straniere, che non sono in grado di offrire a bambini e ragazzi, quelle attività extrascolastiche (sportive, studio delle lingue, musicali, ecc.) per le quali si vuole lasciarli “liberi” dalla scuola. Naturalmente c’è anche un mondo che chiede questo, che considera più importante che si possa partecipare alla vita di paese. Meno consensi ci sono nelle città.
Quasi unanime è la ribellione della scuola in lingua italiana. concentrata nei centri urbani, dove i ritmi e gli stili di vita sono diversi, dove i genitori lavorano entrambi e anche di pomeriggio e studiare per una professione e imparare un mestiere è indispensabile per avere un futuro e un lavoro. Per loro la scuola è il posto in cui si può imparare la seconda lingua. Nonostante il proliferare di associazioni che ne propongono la sostituzione, non si vede perché nella terra del bilinguismo la scuola pubblica debba negarsi allo scopo di formare cittadini adeguati. Nelle città spesso c’è maggiore offerta di attività integrative extrascolastiche, sportive e linguistiche, forse anche troppe con le associazioni che si contendono gli allievi, ma ci sono anche sempre meno soldi, e inoltre la difficoltà di muoversi nel traffico caotico e il pericolo di lasciare che i bambini si muovano da soli.
L’assessore alla scuola italiana cerca compromessi, ma docenti e studenti si chiedono per quale ragione tutto debba essere mediato. La politica provinciale infatti pretende che il modello scolastico sia uguale per i due gruppi linguistici.
In settembre in consiglio provinciale c’è stata la prima avvisaglia di questo nuovo/antico modo di affrontare un obiettivo evidente di riduzione di spesa alle spalle dei poveri e dei deboli. Un’interrogazione di un partito della destra tedesca chiede perché la spesa per studente nelle scuole italiane sia più alta di quella delle scuole di lingua tedesca. Già basta la domanda a far cadere le braccia. E poi ci sono le risposte. Durnwalder ha spiegato che dipende dal fatto che i numeri degli italiani sono inferiori. Ma non ha detto che nei piccoli centri si sono lasciate scuole italiane per non cancellare in tante località la presenza delle comunità italiane. E che in queste classi si sono iscritti con entusiasmo molti bambini e ragazzi di lingua tedesca, dando origine a interessanti sperimentazioni di scuola unita. L’assessore italiano, dal canto suo, ha precisato che nelle scuole italiane, nelle città, ci sono più modelli di tempo pieno e inoltre ci sono gli stranieri.
L’Autonomia verrà usata per negare alla gioventù il diritto all’istruzione? E ci si vuole prendere la responsabilità di lasciare a casa da soli, abbandonati a se stessi studenti e scolari ? L’assessore condivide il calendario unico, ma anche il prolungamento della scuola in pieno giugno a Bolzano, con il clima torrido degli anni recenti e con le famiglie che cercano di andare al mare prima della troppo costosa alta stagione, non pare una grande idea. Soprattutto non si capisce quale sia il vantaggio didattico. Nei fine settimana abbandonati a se stessi e poi a scuola in agosto?
Il tradizionale conflitto fra città e campagna in Sudtirolo continua a coincidere nella mente dei politici con il conflitto etnico, e di fronte all’ipotesi di elezioni politiche anticipate spuntano Dirndl e Trachten addosso a persone che di solito vestono Armani. Ma da una scuola pubblica azzoppata e impoverita avranno danni tutti, perché la scuola pubblica è la condizione per le pari opportunità, soprattutto per chi non ha mezzi per istruirsi altrove. L’autonomia sudtirolese viene sempre più declinata a destra, dalla sanità all’istruzione, all’assistenza, alla fiscalità. Ora nella scuola, e contro l’autonomia scolastica, con il disprezzo di una classe docente che negli ultimi anni ha fatto sforzi considerevoli per migliorare il proprio livello professionale. Come si pensi di gestire l’autonomia o addirittura di trasformarla in futuro in “Vollautonomie”, abbassando nel contempo il livello culturale della popolazione, anziché impegnandosi ad elevarlo, è per chi scrive un vero mistero. Dubito che bastino un paio di scuole private confessionali, sia pure riccamente finanziate, per garantire la cosiddetta “classe dirigente” al Sudtirolo del futuro, soprattutto se la condizione è il risparmio sull’impegno a educare la futura generazione di cittadini.