“Battere la destra per fare una politica di destra? No, grazie”
Intervista a Tommaso Iori
A Trento, analogo al caso Turigliatto, possiamo vedere il “caso Iori”. Tommaso Iori, ventitreenne consigliere comunale di Rifondazione Comunista, si è dimesso dal partito (e quindi anche dal lavoro, in quanto dipendente del gruppo consigliare in Provincia) per forte dissenso dalla linea nazionale. E’ stato comunque riconfermato consigliere comunale del gruppo di Rifondazione, sia pur come indipendente. Con lui discutiamo delle motivazioni di questa posizione.
“Anzitutto la politica estera del governo Prodi, ma non solo. Soprattutto dopo l’episodio di Turigliatto e la sua espulsione, anche se io non appartengo a nessuna corrente, e la mia scelta è indipendente e personale. Il caso Turigliatto ha solo scoperchiato il calderone della politica del governo, pieno di contraddizioni che Rifondazione nazionale continua a subire, cosa che io invece non voglio fare. Se aderisci a un partito, alla sua linea, devi crederci fino in fondo, oppure fare un lavoro di corrente per ribaltarla. Cosa che a me non va di fare”.
Ma c’è una questione di metodo. Se vuoi governare, devi farlo attraverso un’alleanza con delle forze che hanno altre posizioni. Il che implica mediazioni, compromessi. Se vuoi rimanere fedele alle tue idee al 100%, allora hai solo due soluzioni: rinunciare a che esse siano, seppur parzialmente, messe in pratica e limitarti a testimoniarle; oppure imporle con la forza, con una dittatura.
“Il ragionamento non fa una grinza. E difatti io ero contrario fin dall’inizio all’adesione di Rifondazione all’Unione e al programma di Prodi, ero per altre soluzioni, tipo appoggio esterno. E per battere Berlusconi occorre allearsi con pezzi di centro-destra. Ma il problema non è Berlusconi, bensì le sue politiche. Se per battere la destra dobbiamo poi fare politiche di destra, davvero diamo pessime risposte a chi ci vota”.
Forse, oltre alle politiche di destra e di sinistra, ci sono anche quelle di centro-sinistra. Non l’optimum per chi è di sinistra, ma qualcosa di accettabile.
“Per me c’è un imbroglio, un equivoco ora finalmente svelato: la differenza minimale tra la politica di questo centrosinistra e quella della destra. Com’è apparso evidente in Germania, dove destra e socialdemocratici, con la Grosse Koalition, fanno la stessa politica”.
Beh, in Italia c’è, come minimo, la peculiarità del berlusconismo, con le sue caratteristiche profondamente negative, che lo differenziano dalla destra europea: l’incitamento all’evasione fiscale, il disprezzo per la giustizia, il codismo all’America di Bush, la corruzione culturale attraverso le Tv…
“Ma è tutta colpa di Berlusconi, o di un berlusconismo presente nella società, preesistente, e che da lui prescinde? Pensiamo solo alla privatizzazione strisciante della scuola pubblica, o alla legislazione sul lavoro”.
Mi sembra che tu sottovaluti il ruolo che su tutta una serie di temi ha avuto proprio la cosiddetta “sinistra radicale”. Sulla flessibilità, parola prima magica ora negativa, sulla maniera di stare in Afghanistan, sulle pensioni: avete svolto un ruolo prezioso ponendo all’attenzione generale numerose problematiche, molte delle quali sono diventate senso comune e azione di governo. Se ora vi chiamate fuori, fatalmente tutto il governo, anche solo per sopravvivere, si sposta a destra.
“Prendiamo l’Afghanistan, che è l’esempio emblematico: il problema non è come esserci, ma il fatto di esserci. Per noi il discrimine è fra guerra e pace, per il governo Prodi è tra fare la guerra con o senza l’Onu”.
Mi sembrate più pacifisti di Gandhi, che appoggiò la guerra antinazista... I talebani, santuario del terrorismo delle Due Torri, non andavano combattuti?
“La guerra contro l’Afghanistan non ha estirpato il terrorismo: dopo l’11 settembre ci sono stati gli attentati a Madrid e a Londra. Contro le cause profonde del terrorismo, serve altro, non certo le guerre in Afghanistan o Irak: risolvere la questione palestinese, rispettare i paesi arabi... D’Alema nel giugno scorso parlava di exit strategy dall’Afghanistan, e ora fa gli stessi discorsi, anzi parla di maggior spazio alla cooperazione internazionale e di andar via non parla più. E su Vicenza dice che la scelta non va messa in discussione. Questa è esattamente la politica che avrebbe fatto Berlusconi”.
Di qui il tuo disaccordo…
“Sì. E questo io imputo a Rifondazione: essere interni al governo, aver privilegiato il lavoro nelle istituzioni rispetto a quello nei movimenti. Se questi, negli ultimi anni, erano cresciuti, è stato proprio perché dal ’98, dalla caduta del governo Prodi di allora, Rifondazione aveva offerto loro una sponda politica. Ora questo non c’è più, prevale il lavoro istituzionale. In un governo dove, assieme a Mastella e Rutelli, sei con le spalle al muro”.
Insomma, secondo te il riformismo non è possibile.
“Era un’affermazione di Bertinotti di alcuni anni fa. Aveva ragione: il sistema capitalistico oggi non è riformabile. Mentre, da Seattle in poi, si può costruire un’alternativa, basata sui movimenti. Poi Bertinotti ha abbandonato quel principio, abbracciando l’idea che la politica, le istituzioni, siano permeabili ai movimenti, e il partito potesse svolgere questo ruolo, promuovendo una grande riforma della politica. Obiettivo alto, che però è risultato impraticabile: oggi, con gli attuali rapporti di forza, non c’è nessuna grande riforma della politica, ma solo piccoli compromessi”.