Referendum sulle armi: abbiamo perso
E dunque hanno vinto i no. Ha vinto la propaganda armata, ha vinto la cultura del nemico, ha vinto la rassegnazione, l’idea che sia impossibile vivere senza uccidere. In tutti gli stati del Brasile i sì sono stati battuti. Ma con grosse differenze geografiche. Guarda caso nel Nordest, uno degli stati più poveri del Paese, dove Ermanno Allegri ha guidato la mobilitazione, i no hanno superato i sì di pochissimo (57%), mentre nelle zone del sud hanno dilagato, con picchi del 30 per cento e più.
Poche ore prima del voto - si è trattato del primo referendum nella storia brasiliana - don Ermanno aveva denunciato lo scarso impegno dei movimenti di base e della sinistra in generale, troppo impegnata a difendersi dalle accuse di corruzione, ma anche della Chiesa, che ha sostenuto la campagna per il sì ma in maniera debolissima e contrattissima.
Il potere economico che sostiene il commercio delle armi si è innestato col potere mediatico provocando una combinazione esplosiva che ha fatto la differenza. A fronte di una debolezza culturale da parte del movimento per la pace – incapace di sostenere con rigore le ragioni di una scelta di civiltà - si è sviluppato un agguerrito movimento di opinione sulla necessità di fare leva sulle armi per la difesa personale, che ha mobilitato bassi istinti, paure e preoccupazioni presenti in una terra dove la violenza è uno dei problemi piu’ grandi e drammatici.
"Il disarmo in Brasile è una farsa" - dicevano i fautori del no mostrando striscioni e cartelli in cui indicavano al popolo come votare. "Una farsa" perché non avere un’arma sotto il cuscino significa darla vinta ai mascalzoni, ai ladri, agli assalitori, ai violenti...
In questo clima di rassegnazione e di paura si è svolto un referendum storico con 120 milioni di brasiliani alle urne.
La campagna per il disarmo, fortemente voluta dal presidente Luiz Inacio Lula da Silva, ha tolto già 500.000 armi dal paese e il referendum avrebbe sancito per legge la fine di un commercio assassino, dal quale si sprigiona una violenza impressionante.
Le statistiche parlano chiaro. Solo nel 2004, 38.000 persone sono state uccise da armi da fuoco: una persona ogni 15 minuti. E nella folla dei feriti da colpi d’arma da fuoco i ragazzi fra i 12 e i 18 anni sono il 61%.
Ermanno Allegri racconta che nel distretto di Fortaleza da alcuni anni sono comparsi bambini piccoli (otto, dieci anni) con pistole nelle tasche dei pantaloni, e adolescenti che girano brandendo fucili: "La violenza ci sta scoppiando nelle mani - commenta Allegri -, e temo che nei prossimi anni assisteremo all’esplodere delle vendette, dei regolamenti di conti anche fra i ragazzini che si contendono il controllo del territorio imitando i compagni più grandi. E la possibilità che questi ragazzini perdano il controllo razionale della violenza è preoccupante, perché così piccoli non hanno neppure i filtri per capire spesso quali possono essere gli effetti del male".
Ma il fallimento del referendum chiama in causa anche l’opinione pubblica europea, che ha fatto pochissimo per sostenere il tentativo brasiliano. A parte la campagna di appoggio italiana, che ha impegnato alcuni settori del movimento nonviolento e del movimento per il disarmo, pochissimo è stato fatto e pochissimo è stato letto sui giornali. La sinistra europea se ne è disinteressata, la Chiesa idem, e anche la società civile organizzata non ha fatto sentire la sua voce. E questo è un fatto grave. Per la vita, per la pace, per un mondo libero dalla violenza.