La rivolta delle donne
La grande mobilitazione del 13 febbraio: due interventi, due diverse interpretazioni
Bene, ma non basta
Per un attimo ci ho creduto davvero. La piazza stracolma di donne ma anche di uomini, accorsi a manifestare per una spinta di partecipazione e di indignazione. Le notizie delle altre centinaia di piazze italiane, anch’esse stracolme di cittadini arrabbiati ma anche finalmente e gioiosamente capaci di gridare le loro ragioni. I particolari raccapriccianti della vicenda Ruby che avrebbero fatto dimettere qualsiasi primo ministro di qualsiasi Stato che ha l’ardire di definirsi democratico. Insomma poteva essere l’inizio della concreta fine di Berlusconi.
Così dall’entusiasmo sono presto passato ad una progressiva perdita di speranza. Una piazza, cento piazze in un giorno, non fanno primavera. La maggioranza di destra ricompra parlamentari e si rafforza. Il potere mediatico berlusconiano resta granitico e può far dire al nostro primo ministro che bacia la mano di Gheddafi di essere contento della rivolta del mondo arabo. L’opposizione, il PD, Vendola si autodistruggono con la diffusa mania di essere la prima donna del teatro dell’opera. Già, parlando di donne, la mobilitazione straordinaria del 13 febbraio (che dovrebbe ripetersi l’8 marzo) rischia di incanalarsi nella sacrosanta ma stantia rivendicazione dei diritti femminili, diventando così la ciclica riproposizione di un’agenda valida per tutti.
Forse però è necessario fare un discorso più ragionato e meno dettato dall’emozione o dalla partigianeria politica. È evidente che qualcosa di nuovo si è palesato nella manifestazione del 13 febbraio.
Da tempo non si erano viste piazze così piene senza un’organizzazione oliata e strutturata come può essere quella sindacale: un moto spontaneo di indignazione ha portato in piazza chi magari in privato si disgustava dalle performance berlusconiane ma che mai avrebbe manifestato in pubblico la sua posizione. Inoltre si è coagulato intorno al comitato di donne promotore dell’evento un vasto ed eterogeneo movimento di cittadini di ogni età, simbolo di un’Italia che non è più rassegnata. Tuttavia non credo che questo sia il segnale di un reale cambiamento di mentalità. Soprattutto nei riguardi delle donne.
La situazione sociale e culturale italiana, da questo punto di vista e non solo, è devastata e devastante. Ormai si è diffusa l’idea che per avere successo, soldi e potere non servono l’impegno, la fatica, la cultura (che anzi sembrano sempre più una zavorra) ma bastano l’incontro con il potente, la svendita della propria dignità, il colpo di fortuna. La televisione ha veicolato questa mentalità. Questa tendenza presente anche in altri paesi occidentali, in Italia ha ricevuto una veste istituzionale: è diventata il modo per selezionare la classe dirigente del paese. Su questo aspetto il moto di indignazione è andato oltre i confini di quanti si riconoscono nel centro sinistra: per esempio la deputata Giulia Bongiorno è stata una delle protagoniste più applaudite della piazza di Roma. Si tratta però di donne per così dire interne al circuito della politica.
Non siamo alla svolta, perché moltissime donne di destra (o vagamente berlusconiane) non hanno preso le distanze dall’indegno comportamento del premier, anzi, per convinzione o per opportunismo, applaudono alle sue esibizioni sardanapalesche. Senza contare la diffusa invidia maschile per il potente circondato da giovani donne: Berlusconi per una grande fetta di maschi italiani non è un vecchio che fa pena e che governa malissimo e soltanto per i suoi interessi, ma è un uomo fortunato che si può permettere un harem a disposizione per le sue feste. Tanto tutti si comportano così. Tutti vorrebbero evadere le tasse. Tutti vorrebbero passare una notte con una ragazza magari minorenne, pagando qualcosa.
Probabilmente in piazza abbiamo visto più che una rivendicazione dei diritti delle donne, una manifestazione in grande stile dell’opposizione a Berlusconi. La pancia del paese rimane con lui e con l’altro machismo di stampo leghista, benché i sondaggi comincino a cambiare segno e qualche esponente della gerarchia cattolica a dare segni di vita (salvo poi ritornare nei ranghi). La primavera intanto tarda ad arrivare.
Piergiorgio Cattani
Una svolta culturale
Ma davvero la manifestazione del 13 febbraio, organizzata dalle donne italiane, potrebbe essere spacciata per “femminismo di ritorno”? Personalmente proprio non ci credo. Che in questi ultimi 20 anni nelle politiche femminili ci sia stata una forte regressione non c’è alcun dubbio. È regredita la società, la famiglia, la Chiesa, la scuola, il senso dello Stato. Siamo regredite anche noi.
Rientra tutto in quella obnubilata predominanza dell’ “io”, a discapito del “noi”, che ha tradito le istanze del ‘68. Quella nefasta cifra dell’individualismo direttamente proporzionale al consumismo, che nella sua degenerazione, è stata funzionale anche alla corruzione. Una pulsione umana, che però può avere conseguenze drammatiche. Un istinto che il berlusconismo nostrano ha saputo cavalcare come nessun altro fenomeno politico- mediatico al mondo.
Lo “status”, è stato per decenni il coefficiente al quale ci siamo commisurati. Il vecchio “Avere o essere” di Eric Fromm è relegato in cima allo scaffale, tra la polvere, insieme al “ Gabbiano Jonathan Livingston”: voli pindarici rovinosamente schiantati al suolo. Colombe impallinate da una società rapace e insaziabile. Per lanciare l’allarme è tardi, gli avvoltoi si stanno strappando gli ultimi brandelli della preda.
“Divide et impera”. E dividerci ci hanno divisi eccome, le ammalianti sirene delle reti Mediaset hanno costruito un poderoso spartiacque tra ricchi e poveri, manager e sfigati, sporchi comunisti contro gente “per bene”, con il panfilo e la villa al mare. Machi dalla prorompente virilità e ometti semi impotenti in balia delle donne.
Ce ne abbiamo messo a capire, ubriachi di culi, tette al vento, dell’”Italia da bere” e da mangiare. Ci voleva la crisi globale per capire che il centro sinistra ha sbagliato, ma che questa immota mignottocrazia sta presentando un conto più alto, il ghigno raccapricciante di un tardo impero agonizzante.
E non è tanto per una dignità offesa che le donne sono scese in piazza, non è stato uno smarcarsi di donne nei confronti di altre donne, è stata una percezione mentale femminile, ma anche maschile, che il vaso è colmo. “Se non ora quando” a Trento, come a Milano, a Genova, a Bologna, ha significato proprio questo. Quand’è che un popolo perde coscienza di sé? Quando vengono calpestate le regole di una comunità civile. Se il Premier di uno Stato viene accusato del reato di prostituzione minorile, quello Stato è nel fango, perché molti hanno agito e pensato in quel contesto ed hanno permesso a quel premier di arrivare fino a quel punto.
Questo è il dato, le donne ragionano concretamente, non si tratta solo di schifo, ma di cifre. Noi siamo state a guardare impotenti un paese che andava gambe all’aria, perché o passi dai letti dei potenti, oppure se hai una famiglia, rappresenti un peso. Le donne presidenti di CDA in Italia, sono il 3,8%, il 6,8% le consigliere di amministrazione, tra il 20 e il 21% le donne nei consessi civici. Ma attenzione: non è una questione di “genere”, ma di arretratezza. Un paese che non riconosce la donna come una risorsa è un paese arretrato. Pertanto noi non siamo andate in piazza, come fu per il femminismo, a rivendicare un’ emancipazione sessuale, che nulla ha a che vedere con la scelta di fare il mestiere più vecchio del mondo, ma a dire che l’Italia non è questo. L’Italia è piena di donne che reggono un tessuto sociale allo stremo: figli disoccupati, anziani malati, partner in cassa integrazione. Siamo andate in piazza a dire che se ci dessero spazio probabilmente avremmo un paese migliore. Ma ora che si fa? Ce la faremo a cambiare qualcosa? Non da sole, anche se nessuna manifestazione recente è riuscita a mobilitare tanta gente. E non subito, anche se il vento sta cambiando. Dovremo stringerci ancora attorno a questa Italia agonizzante e magari proporre una donna al timone. E chissà che un governo di salute pubblica, con a capo una donna, non riesca a convincere i più che cambiare si può, se troveremo motivazioni per unici, piuttosto che leader per dividerci. ?
Elena Baiguera Beltrami