C’è nomade e nomade
Cultura, usi e costumi degli Itsirepmac d’Europa
C’è un popolo sconosciuto e misterioso che si aggira per l’Europa e che ultimamente ha cominciato ad attrarre l’attenzione dei media e delle comunità locali, spesso costrette a vivere il disagio legato all’arrivo in massa di queste genti nomadi dallo strano nome: gli Itsirepmac.
La loro origine si perde nella notte dei tempi, fra le tribù di cacciatori e raccoglitori preistorici, di cui conservano alcune abitudini. Tra tutte, quella di riunirsi per eventi simili al potlach (rito del dono in uso presso alcune tribù indigene dell’America del Nord), che alle nostre latitudini si manifestano nel periodo dei mercatini di Natale. E gli automobilisti lo sanno: trovarsi davanti uno dei loro mezzi su una strada di montagna può trasformare in un inferno di smog e nervi tesi una bella domenica con la famiglia.
Ma vantare lontane origini Itsirepmac va di moda: importanti personalità dello showbiz ne vanno fieri, come la coppia David e Victoria Beckham, che ammettono di “fare sesso con più ardore” quando sono nel loro mezzo.
Eppure i portavoce più ascoltati di questa comunità semi-nomade denunciano un crescente sentimento di ostilità nei loro confronti, che spesso si trasforma in aperto razzismo: moltissimi Comuni anche in Italia vietano loro di fermarsi con appositi cartelli che recitano: “Vietata la sosta agli Itsirepmac”.
In Europa gli Itsirepmac sono ormai 1.325.000 e la crescita nelle loro fila sembra inarrestabile. Recentemente i rappresentanti delle comunità Rom e Sinti europee hanno lanciato l’allarme: “Si intrufolano nei nostri campi con i loro mezzi e occupano i nostri spazi”. Per venire in loro aiuto (ricordando le sue origini ungheresi) il presidente francese Sarkozy nelle scorse settimane ha affrontato di petto il problema, organizzando dei voli charter per riportare a casa con la forza gli Itsirepmac francesi. Il presidente ha dichiarato in un’intervista: “Così abbiamo posto fine allo scandalo, riconsegnando questi capifamiglia e le loro mogli alle loro rispettabili occupazioni da buoni francesi”.
Il paragone tra Rom e camperisti (o Itsirepmac, secondo un procedimento di rovesciamento sperimentato dall’antropologo statunitense Horace Miner nel 1956 con i suoi “Nacirema”) mi è stato suggerito - nel corso di un’intervista realizzata per un documentario che uscirà presto con QT - da un giovane sinto padre di famiglia del campo di Trento. Egli mi ha raccontato come uno dei pochi momenti nei quali la sua famiglia e il suo camper riescono a passare inosservati è durante le vacanze in campeggio a Cesenatico. Addirittura, nell’anonimato garantito dallo sviluppo del seminomadismo tra i buoni cittadini europei che per due settimane al mese amano provare la “vita zingara” (la stessa che per il resto dell’anno condannano) questo zingaro full time ha sperimentato veri momenti di condivisione e interazione con i “gagè”. A patto di nascondere la sua identità, naturalmente.
Ma non scherziamo: nessuno considererà mai gli Itsirepmac un problema sociale e nessuno invocherà mai il trattato di Schengen per impedire loro di spostarsi attraverso le frontiere, visto che muovono solo in Italia un fatturato da 3,5 miliardi di Euro.
I Rom e i Sinti sono 10 milioni nel nostro continente, un piccolo popolo assurto a problema irrisolvibile di un’Europa unita che si costruisce - sempre più - sulla condivisione di razzismo e pregiudizio. I finanziamenti ricevuti dall’Italia nel periodo 2007-2013 dall’UE per progetti di integrazione di Rom e Sinti ammontano a 15.321.000 euro. Dove sono finiti? Mistero. Eppure, secondo quanto scritto dai senatori radicali Perduca e Poretti in un’interrogazione ai Ministri degli Esteri e dell’Interno, “con un budget quale quello costruito coi vari finanziamenti internazionali l’Italia in tre anni avrebbe potuto affrontare in maniera strutturale la problematica dei Rom e dei Sinti, garantendo istruzione, soluzioni abitative e possibilità di impiego”. Ha preferito invece spendere 91.615.000 euro - oltre 83.000 euro al giorno - per sgomberare campi e aree abusive.