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Giardino d’inverno

Meta delle mie passeggiate invernali è il Parco Santa Chiara, riserva cittadina dove il rumore del traffico giunge ovattato e anche gli occhi riposano davanti al gran prato verde. La fila di panchine in alto, in postera, lungo il muro di cinta, nelle giornate di sole mi permette di sostare un’oretta a leggere e riprender forza per un’altra faticosa camminata con i bastoni canadesi.

Frequentatori abituali sono gruppetti di magrebini, difficili da distinguere l’uno dall’altro, perché simili nell’abbigliamento, colore dei capelli e occhi neri che guizzano via se li incontro. Spostano le gambe di lato per facilitare il mio passaggio nella stradina e per la mia invalidità colgo rispetto, non commiserazione. Quest’autorevolezza, conquistata a malincuore, ne è l’unico lato positivo. Siedono a chiacchierare fitto, bere birra, fumare e sputare come lama peruviani. Detesto questo sputare, pessima abitudine maschile che proporrei di multare. Ogni tanto scoppia una guerra di bande per qualche affare dai contorni inquietanti. I due leader si scontrano gridando e gesticolando, mentre gli altri li trattengono a stento, timorosi che intervenga la polizia. Ma qualcosa è successo ieri, perché oggi uno di loro ha un vistoso occhio nero.

Poi arriva lei. Compare improvvisamente, aspetto dimesso, capelli lunghi tinti con l’henné e legati a coda, davanti alla panchina dove alcuni ragazzi siedono stravaccati. Ne raggiunge uno con un rapido preciso schiaffo che non lascia scampo. E comincia a gridare con suoni gutturali che assomigliano a un tubare disperato. Il ragazzo colpito è quello dall’occhio nero, che salta in piedi e indietreggia, mortificato. Furiosa, lei cerca di picchiarlo ancora, ma i colpi vanno a vuoto perché gli altri la bloccano. Arriva una ragazzina che le cinge la vita piangendo e implorando con parole incomprensibili, intercalate da maman. Ma lei grida sempre più forte e si divincola per raggiungere questo figlio sbandato, almeno con il contatto fisico di un altro paio di schiaffi. A testa bassa lui si allontana e lei tenta di rincorrerlo, ma sono in tre a trattenerla. Si accascia allora sulla panchina e singhiozza sconfitta, dondolando la testa. Strazia il cuore questa mamma tortora, come color tortora è il suo piumino, la sua pelle. Sì, il dolore di una madre è uguale in tutte le lingue del mondo.

Non faccio in tempo a soffiarmi il naso e mandar giù il groppo che si siede sulla mia panchina il solito galante pensionato in vena di chiacchiere. Signore d’altri tempi con un debole per le donne - solo quelle belle, precisa - che non dimentica di corteggiare, con antica cortesia. Oggi ha un test psicologico da propormi. Il primo animale che mi viene in mente e perché mi piace. “Allora... la cicogna perché è materna”. Un secondo animale e perché. “Il fenicottero per l’eleganza e l’equilibrio.”. Un terzo e perché. “Il cane perché è fedele”. Sono curiosa di conoscere l’interpretazione. Precisa, ridendo sotto i baffi, che in verità il test rivela come una persona sia nell’intimità. Il primo animale è come vorresti l’altro ti vedesse, il secondo è invece quello che l’altro vede in te, il terzo è come sei veramente. Scoppio in una risata e poi lo sgrido dandogli del furfante. Tutto gongolante inforca la bicicletta e saluta, togliendosi il cappello.

C’è il periodo dei petardi, ahimè, con uno stuolo di ragazzini armato di polvere da sparo, e non so cos’altro, che li fa bombardare il prato con botti continui e nuvolette puzzolenti. Appuntamento pomeridiano con il quale digeriscono il pranzo e le ore d’immobilità a scuola. È guerra di bande anche questa, con agguati in piena regola, da dietro gli alberi. Con urla sguaiate di vittoria e guaiti terrorizzati dei cagnolini che hanno la sfortuna di passare. E se la scuola li portasse in gita scolastica a Gaza?

Nel vialetto, uscendo, incontro una nonna con carrozzina per gemelli. Adoro i neonati e non riesco a non fermarmi per guardarli. Sono due maschietti: azzurro il caldo piumino che copre queste splendide creature addormentate. Mentre li contemplo, perfida penso che questi angioletti cresceranno e magari fra una decina di anni saranno qui a sparar petardi, far guerre di bande, sputar per terra... Ah, il privilegio di essere donne!

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