Piccoli stranieri a scuola: l’esperienza sudtirolese
Un modello alternativo al progetto leghista
La polemica suscitata dall’istituzione di classi speciali per i bambini immigrati voluta dal governo, ha avuto un precedente a Bolzano circa un anno fa. Probabilmente in vista di elezioni in cui il tema immigrazione si prevedeva avesse un forte ruolo e tutto a favore dei partiti di estrema destra, il presidente della giunta Durnwalder ha annunciato l’intenzione della giunta di istituire un "anno propedeutico" per gli scolari che non conoscono sufficientemente la lingua della scuola (vecchia abitudine Svp di correre dietro alle tematiche estremiste nell’illusione di recuperare voti). Si trattava di un anno scolastico da trascorrere divisi dai bambini italiani o tedeschi. Una materia, quella della separazione in campo scolastico, che trova in Sudtirolo molti specialisti, con punte di genio come quella che prevede l’esame di tedesco per i bambini di tre anni che vogliano frequentare le scuole per l’infanzia della minoranza etnica.
Ma alla proposta di Durnwalder la scuola si è ribellata. E per una volta la pedagogia ha avuto la meglio sulla politica politicante. Preso atto che la mancanza di conoscenza della lingua è un problema solo per i ragazzi più grandi, si è visto anche che per superarlo non è sufficiente affiancare dei "mediatori culturali", stranieri formati a questo scopo. Indispensabili per il primo approccio, essi sono però inadeguati a fornire le conoscenze linguistiche necessarie. E inoltre negli ultimi dieci anni il numero degli insegnanti d’appoggio è relativamente calato, mentre le esigenze crescevano rapidamente. A Bolzano ci sono in alcune classi elementari italiane più del 50% di bambini immigrati di diverse provenienze. Si sono dunque istituiti nelle città e paesi maggiori della provincia sette "centri linguistici". Ai centri, che verranno guidati da coordinatori esperti, sono destinati 23 docenti di lingua già impiegati nella scuola con incarichi a tempo determinato, in modo che si possa rispondere alle esigenze sia di numero che di lingua materna dei frequentanti.
I centri linguistici tuttavia non sostituiscono, ma affiancano la scuola. I bambini e le bambine con conoscenze linguistiche insufficienti non frequentano classi diverse, ma formano le classi con tutti gli altri. Si possono però allontanare per qualche ora dalla normale attività didattica per imparare intensivamente la lingua della scuola (italiano o tedesco). Si garantisce dunque la socializzazione all’interno della classe di appartenenza e l’apprendimento, che avviene anche attraverso l’ascolto: scolari di lingua materna diversa si sentono parte della stessa comunità. Si interviene collaborando con l’insegnante di classe, cui rimane la responsabilità.
Dal primo anno di esperienza sembra che questo sistema abbia dato frutti positivi. In fondo si è trattato di fornire appoggio al lavoro che gran parte degli insegnanti svolgevano per conto loro, cercando in modo professionale di far raggiungere ai propri scolari gli obiettivi educativi.
Nel resto d’Italia esistono tante esperienze didattiche analoghe, grazie all’intelligenza e alla passione per il proprio mestiere di tanti insegnanti e delle scuole. Peccato che invece di sostenerli nei loro sforzi e di estendere le esperienze positive, la politica preferisca usare il problema linguistico come pretesto per iniziative sbagliate - se gli obiettivi dichiarati sono l’apprendimento della lingua e l’inserimento dei nuovi arrivati – oppure francamente razziste – se l’obiettivo è di tenere lontani i bambini immigrati dagli italiani.
Per quei cittadini del Sudtirolo che non hanno mai amato la separazione, è una bella novità che si creino istituti per il miglioramento della competenza linguistica. È un esempio di come la presenza di immigrati, se intesa come sfida, possa portare a interventi positivi nella realtà dell’autonomia e del difficile apprendimento della seconda lingua da parte dei giovani autoctoni di entrambe le lingue.