Ma gli economisti ci azzeccano?
Dopo il crollo della finanza, intervista al preside di Economia Paolo Collini.
L’attuale devastante crisi della finanza, non implica anche una crisi dell’economia, intesa come disciplina? Gli studiosi di economia, a parte alcune eccezioni, come Nouriel Roubini, peraltro sbeffeggiato come fastidiosa Cassandra, hanno mostrato una disarmante incapacità nel segnalare il baratro.
Vorrei smentirli: gli studiosi sapevano benissimo che questa era una grande bolla destinata a scoppiare, al Festival dell’Economia dello scorso anno erano stati molteplici gli allarmi: siamo seduti sulla dinamite, gli strumenti finanziari sono pericolosissimi e fuori controllo... Ma questi messaggi hanno avuto scarso rilievo, perché le follie finanziarie facevano guadagnare tanto a tanta gente, e quindi alle grida di allarme subito .replicavano con ridimensionamenti e minimizzazioni.
Però che il sistema finanziario basato su questi strumenti "creativi" fosse fortemente a rischio, lo si sapeva tutti. Ma non si sapeva quando il disastro sarebbe successo, e quindi il tema lo si rimuoveva. Anche perché nella finanza, finché la gente ci crede, la festa continua: un bene sopravvalutato rende finché si continua a crederci, finché qualcuno è disposto a pagarlo tanto nella convinzione che qualcun altro pagherà di più. E’ la catena di Sant’Antonio.
Eppure c’è stato in questi anni, da parte degli economisti, un’acritica accettazione dell’ideologia dominante, con una continua esaltazione del libero mercato.
Non è stata ideologia, ma interesse. Questa esaltazione acritica non l’ho vista tanto negli studiosi, ma in interessati commentatori. Detto questo, si sta per converso reagendo alla crisi affermando una nuova verità: che il mercato non funziona, che bisogna nazionalizzare. E invece no, il punto è che il mercato ha bisogno di regole. Se viene lasciato crescere sregolato, funziona male e fa del male.
Se queste sono le conclusioni fasulle, quale ritiene la lezione da imparare?
Il ridimensionamento del ruolo della finanza. Bisogna tornare all’economia reale, tenendo presente che comunque, a cicli, tornerà l’economia speculativa, e deve essere tenuta sotto controllo. Ci sono infatti dei filoni di studio dell’economia, l’economia comportamentale, che spiegano le dinamiche non solo in termini di razionalità, ma anche dei comportamenti delle persone, che talora sono irrazionali, ispirate dalla voglia del colpo grosso, dell’occasione speculativa. Questo è un fenomeno ciclico, le bolle alimentate dal desiderio di facili guadagni, l’acquisto di una casa nella convinzione che sei mesi dopo la si rivenderà a 30.000 euro in più; e ciò in effetti accade per un certo periodo, ma poi tutto finisce, e ci si fa del male.
Ora, non si pone all’ordine del giorno il problema di ripensare al rapporto tra Stato e mercato?
Senz’altro. L’ideologia liberista dominante con Reagan e Thatcher, dello Stato che al più dovrebbe fare il regolatore, è da rivedere da cima a fondo, ora che gli Usa comperano le banche. Ci sono alcuni settori dove la regolazione non basta, occorre regolare standoci dentro, non solo fuori, perché le agenzie di regolazioni, le Authority, non riescono strutturalmente a imporre le regole, ci sono in ballo interessi troppo forti. Mi aspetto che su questo ci sia dibattito. Anche perché d’altra parte si è visto che lo Stato, quando è lui a gestire, crea altre pesantissime distorsioni, e non vorrei che si fuggisse dal mercato sregolato per approdare in Alitalia.
Negli scorsi anni c’è stata una spinta praticamente unanime a sollecitare i lavoratori ad abbandonare il TFR per iscriversi ai fondi pensione. Cosa dire oggi?
E’ un discorso molto tecnico; contare su un sistema pubblico che riesca a sostenere le nostre pensioni, può essere un’illusione. Tutto sommato, sono convinto che un fondo pensione gestito con prudenza, in una situazione demografica come la nostra (popolazione che invecchia, il lavoro che finisce all’estero, ecc.) sia più sicuro della scommessa che fra trent’anni ci sia qualcuno che lavora per pagarti la pensione. Anche ora penso che un sistema pensionistico a capitalizzazione, gestito con prudenza, sia superiore a un sistema a ripartizione, che punta su una situazione demografica, sociale ed economica, che tra 30 anni sarà un punto interrogativo.
C’è una nuova attualità della finanza etica, che non ha risentito dello sconquasso?
La finanza etica non è decollata perché alla fine quasi tutti, quando hanno risparmi, vogliono rendimenti significativi. In realtà essa dà più sicurezza, in quanto non ricerca rendimenti spericolati, anche se al contempo non è detto che sia sempre sicuro finanziare situazioni eticamente nobili ma non sempre solide. Comunque interessante è l’esperienza del Nobel Junus del micro-credito, molto legato al rapporto personale e sociale, e quindi relativamente sicuro; chiaramente non ci si possono aspettare alti rendimenti.