Sessantotto: un messaggio contro ogni autoritarismo
E’ maggio e molti protagonisti e commentatori del Sessantotto hanno scritto memorie rievocative a quarant’anni dagli avvenimenti che presero avvio dal "maggio francese" del 1968. Si parva licet, proverei anch’io a presentare qualche appunto, benché, per ragioni anagrafiche, non abbia vissuto direttamente quella temperie: avevo all’epoca tredici anni e, in sovrappiù, non appena arrivato all’età della ragione, mi iscrissi, nell’ottobre 1972, ad una formazione non proprio rivoluzionaria - almeno secondo i canoni d’allora - come la Federazione giovanile socialista.
Mi faccio aiutare a stendere queste considerazioni nientemeno che da Raymond Aron (1905-1983), il grande pensatore liberale francese che fu accompagnato nella sua opera da una costante simpatia per il socialismo democratico e che con il suo famoso pamphlet "L’oppio degli intellettuali" criticò senza posa l’autoritarismo sovietico e chi in Occidente (a cominciare da Jean-Paul Sartre) lo giustificava: promosse la tolleranza, coltivò il dubbio, invocò perfino "l’avvento degli scettici" per spegnere ogni fanatismo e smascherare i presunti profeti di salvezza.
In un altro libro intitolato "Il concetto di libertà", è riportato anche un suo saggio dedicato alla ‘nuova sinistra’ rivoluzionaria. Con quanto detto sopra, non possiamo stupirci di trovare in questo liberale un atteggiamento aperto verso la Nouvelle Gauche, nonostante il dissenso esplicito con l’esperienza concreta dell’estremismo di sinistra. E questa apertura è ancora più significativa se si pensa che il saggio considerato è stato scritto nel 1969, immediatamente a ridosso dell’esplosione della rivolta studentesca e operaia che avrebbe intimidito i conservatori di tutta Europa. Ma Aron è un liberale autentico, che non si accontenta della libertà formale garantita dalla legge: "In alcune circostanze è richiesto l’intervento dello Stato affinché la maggior parte degli individui se ne possa avvalere"; insomma, spiega Aron, "gli individui devono possedere i mezzi per esercitare talune libertà". Ecco, dunque, un liberale difendere i diritti economici e sociali che molti - in epoca di presunto liberalismo integrale - vorrebbero conculcare.
Si capisce dunque perché Aron non guardi con disprezzo al movimento che cerca di mettere in discussione l’autorità nell’impresa e nell’università: dare allo studente e al lavoratore, nella ‘città professionale’, gli stessi diritti del cittadino nella ‘città politica’, sarebbe un atto di autentico liberalismo. Ma Aron non può tranquillamente accettare che la lotta per limitare l’autorità costituita, sia in mano a settari, animati "dall’inesorabile volontà dei giusti o dei puri" che ritengono di incarnare il proletariato e di essere gli unici a poterlo guidare verso la terra promessa: costoro si trasformano in "teologi della violenza" che, rifiutando il mondo "corrotto" e nella certezza di essere gli unici a possedere la vera fede, manifestano il loro pensiero attraverso il fanatismo. Così ben presto una lotta di liberazione si può trasformare in una dissoluta intrapresa per la guida monopolistica del movimento rivoluzionario, che preannuncia uno spietato controllo monopolistico del nuovo potere.
Può succedere dunque che la rivolta contro la repressione, la manipolazione e l’alienazione della società capitalistica, consumistica e paternalistica - per usare i termini di Herbert Marcuse - diventi il pallino di insoddisfatti e inesorabili romantici alla testa di una schiera di "ragazzi viziati in cerca di una causa da servire e di un despota da combattere". E quando non è così, può succedere che "la ricerca della libertà pura sbocchi nell’atto gratuito, talvolta nella droga, talvolta nel ritiro lontano dall’ambito serio e da quello lavorativo, verso le foreste, i prati, i campi".
Qual è l’alternativa? Occorre una resistenza liberale, che non neghi la funzione positiva del conflitto nei cambiamenti sociali: ascoltiamo questo linguaggio - suggerisce Aron - e diamo battaglia; nulla impedisce di comprendere, nulla costringe ad odiare quelli contro cui si combatte; la sconfitta della Nouvelle Gauche finirà col rappresentare la sola vittoria possibile, cioè "il recupero liberale delle rivendicazioni libertarie, in parte realizzabili".
Sì, tali rivendicazioni saranno realizzabili solo in parte. Chi vuole tutto e subito prepara una soluzione sanguinaria e totalitaria. Viceversa, la resistenza liberale non implica assolutamente il rifiuto delle riforme possibili. Riforme che hanno come condizione:
- la difesa della sintesi democratico - liberale contro "l’inconsapevolezza" a-democratica che ha spinto la Nouvelle Gauche "fino al disprezzo o all’indifferenza nei confronti della Primavera di Praga" fiorita sempre nel 1968;
- il recupero del rispetto per l’esperienza e per il sapere: se padri, insegnanti, superiori non destano più rispetto, non resta che l’imposizione autoritaria della nuda potestà oppure l’anarchia;
- l’abbandono del culto della giovinezza: questo, quando non manifesta un tratto vitalistico tipico di ogni regime totalitario, nasconde un atteggiamento puerile; gli adulti che praticano tale culto, che predicano l’indulgenza anche nei confronti delle peggiori smoderatezze, scivolano nel paternalismo e non aiutano i giovani a crescere, anzi non fanno che contribuire alle loro sventure.
Cosa può fare una società liberal-democratica? Proseguire nel dare all’individuo, oltre alla cittadinanza e alla sicurezza, anche i mezzi per usare i propri diritti e per non soccombere alla sorte.
E ciò pur sapendo che la vicenda umana è una "immensa lotteria" determinata da diversi e conflittuali casi genetici, familiari e sociali. "Sono rari - ammette Aron - quelli che possono dire, secondo il mito platonico, di aver scelto liberamente il proprio destino", ma è solo un ordine mite, come quello liberale, che lascia a ciascuno la possibilità di trovare il senso della propria vita.