Principessa Vespa
S’invecchia, cari signori, s’invecchia...
La chicca finale, quando si parla di salute, arriva sempre, ormai ci sono abituata.
A parole sembrano tutti d’accordo sul tipo di vita e di morte ideali: "Basta viver sani e poi zac, un bell’infarto... l’importante è non soffrire!" All’ultima, milionesima dichiarazione di quel tipo, tempo fa sono sbottata: "Se sana non sono e dell’infarto non ho certezza, avete qualche consiglio?"
Ghiaccio fra i presenti. Sì, mi rendo conto della pesantezza delle mie affermazioni, ma sensibilità significa non solo averne, anche aspettarsela. Ma già, la sola esclamazione "Basta la salute" è pesante, o sull’argomento si può fare qualsiasi genere di dichiarazione, luoghi comuni compresi, senza il minimo tatto?
Quando si entra nel circuito di una malattia dalle molte ipotesi e nessuna certezza, dopo aver cercato il trauma nell’infanzia, nella famiglia di prima e in quella di dopo, nel lavoro, il primo amore, l’ultimo, ed essermi anche detta "mea culpa, me la sono cercata", dopo aver provato la medicina ufficiale, l’omeopatia, la naturopatia, la fitoterapia e anche qualche stregone, capita di farsi domande un po’ più originali.
La tendenza dominante in medicina, negli ultimi trecento anni, è stata la patogenesi, che si occupa di indagare le cause della malattia: come sorge e come si possa curare. L’esplosione dei costi del sistema sanitario ha favorito a livello mondiale la sensibilità verso un nuovo concetto di salute, la salutogenesi, che pone nuovi interrogativi che mi affascinano molto. Quali sono le fonti della salute, come si crea e come può essere rinforzata?
Partendo da temi forti come l’Olocausto: perché alcuni superstiti sono riusciti a rimanere sani dal punto di vista psicologico? Oppure perché dopo il disastro di Chernobyl non tutta la popolazione ha contratto leucemie e tumori? Cosa ha protetto chi non si è ammalato?
Lo stereotipo della malatina tutta semolino e prugne cotte non fa per me; mi sento soffocare. La parte della tenace eroina che non si lamenta mai, la sostengo da tanto, ed ha cominciato a stancarmi. Quella che sopporta tutto stoicamente per trenta, quarant’anni... ecco, sarà forse perché sono circa a metà percorso (splendida notizia!) e mi tocca resistere ancora per molto, dovrò pur farmene una ragione.
L’idea più originale degli ultimi anni è: "Potresti scrivere un libro sulla tua esperienza!" Ma piacciono ancora le autobiografie di ammalati delle patologie più disparate che insegnano a vivere e danno lezioni di coraggio alle persone normali? Quelle che associano l’intestino pigro al tumore conclamato, il mal di testa ad un ictus, e che di solito diventano ancora più paranoiche?
Più la malattia è lunga, più si assiste ad una moria di amici, quelli cosiddetti di passaggio, che ti stanno temporaneamente vicini e magari ti riempiono di attenzioni, che alla lunga non sono in grado di portare avanti. Rappresenti il senso di colpa di un individuo sano che entra a contatto con la malattia e forse hanno più bisogno loro di te che tu di loro. Dopo un periodo variabile, infatti, spariscono, lasciando dei vuoti che all’inizio facevano un gran male; ma poi s’impara ad accettare le persone per come sono, senza credere che dureranno per sempre.
S’invecchia cari signori, s’invecchia, questo è il reale problema. Il quadro clinico si complica, le pastiglie aumentano. Adesso non basta il neurologo; ci vogliono endocrinologo, psichiatra, fisiatra, urologo… un via vai di dottoroni: mi sento osservata. Dopo anni di studi approfonditi adesso ho smesso di documentarmi. A cosa serve poi? A saperne troppo non si cambiano le cose. Meglio fare la gnorri.
Morbo di Basedow? E’ una forma di morbillo? Lei mi sta dicendo che ho questo morbo? Un disturbo bipolare? Anche quello? Ma tutti e due o posso scegliere? Allora si spiegano i piedi freddi? Ah no, ma guardi che sta sbagliando… mi sento bene, miracolata.
Poi torno a casa in fretta, al mio terrazzo rifugio, sospeso in aria come me, a cercare con lo sguardo l’orizzonte, il cielo, le nubi. A liberare i pensieri per coltivare quelli sani, trasformando l’ultima amarezza in privilegio.
Ebbene sì, sta venendo a galla la mia vera inclinazione: fare la principessa! Adesso ho una cameriera personale che cucina come le ho insegnato, apparecchia il tavolo come desidero, riordina le mie cose con cura. A dire il vero, avevo chiesto a Babbo Natale un amante, ma lui, mezzo sordo, mi ha portato una badante, che fa sì rima ma non è proprio la stessa cosa.
All’inizio ero confusa e la fatica maggiore era dire continuamente per favore, grazie, scusami, sei molto gentile, ma poi ho cominciato, ad apprezzare la comodità di qualcuno che mi libera dalle faccende domestiche. Mi rimane un sacco di tempo per dedicarmi alle cose che mi piacciono, anche se poi la lista di quelle che posso fare diventa sempre più corta, ma solo per circostanze avverse. E, cosa non di poco conto, mi sta insegnando il moldavo, lingua ormai indispensabile per viaggiare il mondo con regalità.
Sicuramente sarei una perfetta Principessa Vespa!