Il pubblico, la bestia e la virtù
Leo Gullotta, dismessi i tristi panni del televisivo Teatro del Bagaglino, si dimostra, nel lavoro pirandelliano, attore colto e di talento. Buono questo lavoro del Teatro Eliseo: tutti bravi e simpatici. Forse troppo?
Varrebbe la pena di rivedere L’uomo, la bestia e la virtù, nella versione apprezzata a Trento dal 27 al 30 marzo, così come in tutta Italia, da due anni, in oltre 200 repliche. Non che si tratti di una regia che farà storia; ma di queste regie, a volte, si può fare a meno. E’ già tanto, di questi tempi, potersi godere una rappresentazione corretta sul piano filologico e onesta nel rapporto col pubblico. Da qualche anno a questa parte il teatro sembra ammiccare moltissimo alla televisione e soprattutto ai programmi comici.
Quando è un attore televisivo (Gullotta) a richiamare il pubblico invece dell’autore teatrale (Pirandello), si può cominciare a nutrire qualche sospetto. Per fortuna, non tutti gli attori televisivi sono a disagio in un teatro. Leo Gullotta è uno di questi. Ha talento e capacità, senso della scena, cultura: si può ben comprendere come abbia deciso di cimentarsi con Pirandello, sfruttando la propria notorietà televisiva e al tempo stesso prendendo le distanze dalle beceraggini che è solito "interpretare" con il famigerato Teatro del Bagaglino. Una boccata di aria buona, per lui e per noi, in mezzo ai mefitici afrori dell’avanspettacolo a sfondo politico-pecoreccio.
Peraltro, sul palco dell’Auditorium abbiamo potuto apprezzare anche Carlo Valli, simpatica "bestia", Antonella Attili, altrettanto simpatica "virtù", a fare da comprimari all’ "uomo" Gullotta, alias il cinico ma comunque simpatico prof. Paolino. Se si aggiunge a questo brioso trio di ipocriti personaggi la gradevole interpretazione di Gianni Giuliano, nei panni del Dottore, e di Bruno Conti, nei panni del Farmacista (per tacer degli altri attori, tutti bravi e simpatici), complice un’amena conversazione post-spettacolo, ci sorge un dubbio atroce: non sarà che tutta questa simpatia smorza la graffiante e amara ironia pirandelliana, per accontentare i gusti di un pubblico ormai disposto solo a ridere e poco a meditare sulle miserie altrui e proprie?