Drogati d’oggi: come e perché
Tanti consumatori occasionali e 1.800 tossicodipendenti. La droga in Trentino nel rapporto del SerT. “Ma la questione di cui occorre discutere - dice il direttore Raffaele Lovaste - è il clima culturale che favorisce questo fenomeno”.
Il tradizionale rapporto annuale del SerT (Servizio Tossicodipendenze) di Trento è un malloppo di 180 pagine, strapieno di cifre, tabelle, grafici. Un mare magnum di dati a volte prevedibili, altre volte sconcertanti, all’interno del quale è però difficile orizzontarsi per capire se le cose vanno bene o male. La sua funzione, del resto, è quella di uno strumento di lavoro per gli operatori e di rendiconto dell’attività svolta. Non è un resoconto giornalistico.
Vi leggiamo ad esempio che poco meno di uno studente trentino su tre, nello scorso anno, ha avuto a che fare coi derivati della cannabis almeno una volta. E già spuntano delle domande.
Farsi una canna all’anno, è significativo, è preoccupante, è cosa che merita di entrare in una statistica? E a che punto sono gli studi sulla pericolosità o meno di quella sostanza?
E qualcosa di simile potremmo chiederci quando apprendiamo che in Trentino sono 220.000 "le persone di età compresa fra i 15 e i 54 anni che fanno uso di alcol una o più volte all’anno" (già, perché il rapporto si occupa anche di alcol e tabacco). In un bicchiere all’anno, e fosse anche di più, che male c’è?
Per non soffocare il lettore sotto una montagna di cifre, ci siamo limitati a presentarne una minima parte, quelle che ci sono parse più significative, nella scheda a pag. 18; qui basti dire che la situazione, in Trentino, è leggermente migliore rispetto ai dati regionali e nazionali, soprattutto per la maggiore percentuale di "utilizzatori problematici" di sostanze (cioè, di tossicodipendenti veri e propri) entrati in contatto col SerT e quindi assistiti sia dal punto di vista sanitario che sociale e psicologico.
Qualche dato va comunque fornito subito, per dare un’idea dell’entità del problema. I consumatori (anche molto occasionali, come s’è detto) di cannabinoidi sono stimati in 23.600, 11.500 quelli di cocaina, un migliaio quelli di allucinogeni e stimolanti e 540 quelli di eroina. Cifre che non vanno però sommate, in quanto sono numerosi coloro che assumono due o più sostanze. Ad abbassare il livello di allarme va comunque detto che i "consumatori problematici" sono stimati in circa 1.800, 1.019 dei quali sono in trattamento al SerT.
Pochi, tanti? Rispetto alla situazione nazionale, in Trentino la cannabis è un po’ meno presente, la cocaina ha un consumo quasi doppio, mentre gli assuntori di stimolanti e di eroina sono circa la metà. Differenze che dipendono in larga misura dalla situazione del mercato, cioè dalla possibilità o meno di reperire questa o quella droga.
Un altro dato è importante, anche per valutare la pericolosità delle varie droghe: malgrado la sproporzione nel consumo delle diverse sostanze, con cannabis ed eroina ai due estremi, i relativamente pochi consumatori di quest’ultima rappresentano però l’88% degli utenti del SerT, contro un 4% che ha problemi coi cannabinoidi, e il 55% degli ospiti delle comunità (dove c’è anche un 28% di alcolisti).
Il dott. Raffaele Lovaste, direttore del SerT, ci spiega anzitutto il perché di una statistica dove compare anche il ragazzo che si è fatto una singola canna nel corso di 12 mesi, o la casalinga che ha bevuto alcolici solo la notte di Capodanno: "Per il nostro lavoro è importante conoscere la base di partenza del fenomeno: certo che un bicchiere a pasto non è problematico, ma è comunque dal consumo di vino che nasce l’alcolismo, e lo stesso vale per la tossicodipendenza". Quanto alla presunta innocuità della cannabis, c’è una precisazione da fare: "Da un po’ di tempo la situazione è cambiata: il principio attivo, che in passato era presente in questa sostanza nella misura del 5%, adesso arriva fino al 30%; chi ne fa un uso regolare rischia di sviluppare, nel breve periodo, dei disturbi nella memoria, e a lungo termine delle patologie di tipo psichiatrico. Ma il punto della questione va molto al di là del problema sanitario".
Cioè?
"L’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media si rivolge ai morti per overdose, alle conseguenze della tossicodipendenza sull’ordine pubblico, ai sequestri di stupefacenti... E si trascura il problema culturale, il clima complessivo che rende possibile questa situazione. Ci focalizziamo su chi è arrivato al punto di chiedere un trattamento anziché su quelli – molto più numerosi – che comunque fanno uso di stupefacenti".
Insomma, è un problema culturale: è più trendy farsi una riga di coca, anziché sciare. C’è una spinta all’efficientismo, alla prestazione, alla performance tale da trascurare i rischi che pure si conoscono, e superare quella disapprovazione nei confronti degli stupefacenti che emerge evidente dalle statistiche. "Si dice: ‘Occupiamoci di questi giovani’. E invece no, dovremmo occuparci degli adulti ‘significativi’ di questi ragazzi, dei modelli che hanno davanti a sé, degli stili di vita che gli vengono proposti".
I giovani faticano a proiettarsi nel futuro, tendono a vivere un’eterna dilatazione del presente, ciò che conta è l’oggi. Da qui deriva una difficoltà a compiere delle scelte di vita, difficoltà aggravata dal rarefarsi della dimensione collettiva e dal potente martellamento dei messaggi pubblicitario-televisivi. E naturalmente fenomeni come la precarietà del lavoro accrescono questa difficoltà nel progettare.
"Più o meno finite le ideologie tradizionali – prosegue il direttore del SerT - sono sorte tante micro-ideologie di gruppo. Abbiamo il giovane che per cinque giorni la settimana va a lavorare: normalmente, senza trasgressioni, come gli viene richiesto. Poi, al sabato, questa persona si trasforma: da rappresentante del mondo del lavoro, eccolo diventar parte del popolo dell’happy-hour, della birra, dello sballo".
La ricetta è banale quanto difficile: bisognerebbe dare a questi giovani degli ideali, fare in modo che non seguano pedissequamente le mode, i messaggi pubblicitari.
"Si noti quanti spot pubblicizzano dei prodotti farmaceutici. Il messaggio che arriva, e che ormai si è imposto, è il seguente: al minimo malessere fisico, prendi una pasticca che ti passa: ‘Perché rinunciare a un’ora di tennis per un mal di testa?’. Si è ormai affermata l’idea di poter regolare i propri stati d’animo utilizzando delle sostanze chimiche. Dovremmo invece convincerci che non possiamo governare tutto, che dobbiamo accettare i nostri limiti. Non è un caso se una consistente percentuale di tossicodipendenti utilizza più sostanze: prendono la coca per eccitarsi, poi, se l’effetto è eccessivo, cercano di calmarsi con l’eroina".
Se le cose stanno in questi termini, è tutto un sistema economico e culturale che bisognerebbe trasformare, e un efficace contrasto alla tossicodipendenza appare molto problematico...
"Certo. Ma sta di fatto che la diffusione della tossicodipendenza dipende sostanzialmente da due fattori: la situazione del mercato, cioè la facilità di procurarsi sostanze nel territorio, e poi – soprattutto – il clima culturale di cui si diceva. Se non cambia quello...".
Allora c’ da stare poco allegri.
"Non è detto. Forse sta maturando nella società il bisogno di qualcosa in cui credere: c’è disagio, richiesta di far parte di qualcosa di più grande che non sia solo la propria singola vicenda individuale".