Lo stress e il polverone
l “Buon rientro” dei dipendenti provinciali: una strana polemica.
Il progetto "Buon rientro", ideato dalla dirigente del Servizio personale della Provincia, ha scatenato polemiche a non finire. Come noto, l’intenzione è quella di addolcire il rientro in servizio di quei dipendenti che per vari motivi (maternità, congedi parentali, malattie, aspettative, comandi, ecc.) si siano a lungo assentati dal posto di lavoro e che, al ritorno, potrebbero trovarsi spaesati.
Da una parte c’è chi mugugna: ma come, i dipendenti provinciali hanno già tanti privilegi, c’era proprio bisogno anche di questo? Dopo i co.co.co – ironizza L’Adige - "ora si profila una nuova categoria di lavoratori i co.co.cu.: coccolati come cuccioli". Un lettore propone "musiche di Mozart, che rilassano molto", un’altra si dice "allibita", e perfino un gruppo di dipendenti provinciali non è d’accordo: "Eravamo quasi sicuri si trattasse di uno scherzo. E’ una trovata ridicola".
Lo stesso presidente Dellai interviene: si tratta – dice - di "cose ovvie, ma che in questo momento, agli occhi del cittadini… appaiono come iniziative di assurdo privilegio". E ancor più duro è Roberto Grasselli, della FIOM-CGIL (vedi la sua lettera Stress da ritorno al lavoro), che ricorda le tante disparità di trattamento esistenti fra dipendenti pubblici e privati, quelle sì meritevoli di un intervento. Tutto vero – replicano altri sindacalisti (Monari della UIL, Ferrante della CISL e Carotta della CGIL) – ma invece di criminalizzare i lavoratori della Provincia, lottiamo perché anche i dipendenti privati possano usufruire delle delicatezze del "Buon rientro".
In questo dibattito, la stampa non fa da spettatrice neutrale. Il Trentino interviene pesantemente, prima con una pagina che illustra i vari veri o presunti benefici di cui godono i provinciali, e subito dopo con un sondaggio da cui risulta che il 96% dei trentini considera quei lavoratori dei privilegiati. Fino alla pubblicazione delle confessioni di alcuni dipendenti di piazza Dante, che tracciano un quadro deprimente, fatto in buona misura di mele marce, che "invece di lavorare si danno al sudoku e alle parole crociate, o mandano sms a raffica"; o di impiegati potenzialmente volonterosi che però hanno poco o niente da fare, e se ne dolgono. Meno folkloristico ma più interessante il rilievo di un’altra dipendente: "Spesso l’organizzazione interna è inefficiente, manca la programmazione… Se nello stesso ufficio ci sono tre persone in più rispetto al normale o ne vengono a mancare altrettante, la mole di lavoro rimane invariata e così si passa dal far poco al fare i salti mortali".
Ma in concreto, cosa prevede il contestato progetto? Vediamolo su L’Adige del 9 maggio, che ne riporta ampi stralci. Dunque, il dipendente reduce da una lunga assenza dovrà venire informato, ad esempio, sui "cambiamenti nella collocazione di alcuni supporti fisici all’attività". Cioè bisogna che qualcuno gli dica che la fotocopiatrice è stata spostata nell’altra stanza e che nei computer c’è un nuovo software da imparare.
Ma ancor prima, quando l’impiegato è assente, bisognerà "stabilire una relazione continua con il/la dipendente assente, prendendo possibilmente parte all’evento/situazione che costituisce motivo dell’assenza". Cioè, che qualcuno telefoni per chiedere se il bambino è nato e sta bene o se le cure stanno facendo effetto. A questo scopo, "si rende utile programmare uno o più colloqui tesi a favorire uno scambio di informazioni fra risorsa (cioè l’impiegato, n.d.r.) ed amministrazione, finalizzato a verificare le condizioni di reinserimento della/del lavoratrice/ore e le prospettive di sviluppo professionale, tenendo conto delle sue aspettative/disponibilità e delle strategie organizzative e gestionali".
Concludendo: "Si tratta di mettere a punto e sperimentare buone pratiche di accoglienza in grado di mettere il lavoratore o la lavoratrice in grado di poter riprendere il proprio lavoro con serenità e soddisfazione, evitando il crearsi di una situazione di estraneità che può rendere difficile il reinserimento. Ciò implica una ricaduta positiva anche per l’ente, che ottimizza i tempi e le risorse, migliorando il clima organizzativo nonché il suo funzionamento interno ed esterno". In estrema sintesi: un po’ di gentilezza e, in presenza di cambiamenti, le necessarie informazioni per poter lavorare decentemente.
Che per arrivare a questo occorresse un progetto con tanto di titolo, e bisognasse informarne tutta la piramide governativa da Dellai in giù, è bizzarro. A questo si aggiungano le seriosità burocratiche del linguaggio (il dipendente che diventa "risorsa": un insulto!), che hanno fatto credere trattarsi di un’operazione complessa e magari onerosa per le casse pubbliche.
Né crediamo che il "Buon rientro" necessiti di messe a punto e programmazione: forse basterà incaricare delle gentilezze necessarie qualche dipendente forzatamente o dolosamente inattivo: piuttosto che istupidirsi col sudoku, meglio dedicarsi al "Buon rientro" dei colleghi.