L’orizzonte del Trentino
Il Trentino moderno è nato dalla rivendicazione di un’alterità rispetto al Tirolo tedesco. E si è evoluto innervando i principi democratici dentro le rivendicazioni nazionali.
Nel suo fondo domenicale del 21 gennaio il direttore de l’Adige, Pierangelo Giovanetti, ha scritto che il fallimento della politica del presidente della giunta Dellai sta nel non aver offerto al Trentino “un obiettivo comune, un progetto e una visione di futuro capaci di mobilitare le energie dell’intera comunità provinciale”.
In realtà, citando un’esigenza che Carlo Azeglio Ciampi aveva indicato per la politica nazionale, una missione per il Trentino il presidente l’aveva individuata poco più di un mese fa. Presentando il bilancio per il 2007 aveva sostenuto che il Trentino doveva rafforzare i suoi “rapporti corti” nell’ambito del Tirolo storico e i suoi “rapporti lunghi” con le altre regioni vicine e il resto d’Europa. Coerente in questo con analogo proposito espresso nella presentazione del bilancio del 2005.
La missione indicata al Trentino dal presidente Dellai non ha suscitato discussione e approfondimenti in Consiglio provinciale (con qualche meritoria quanto isolata eccezione), ma nemmeno nel più ampio mondo della politica e della cultura trentina.
Perché questo silenzio? Per sciatteria, per negligenza, per ignoranza, per opportunismo di maniera?
L’aver indicato per il futuro dell’autonomia il recupero di un rapporto prioritario del Trentino con il Tirolo storico rispetto a quello con le altre regioni a noi vicine, è una svolta radicale nella storia del nostro popolo, delle sue culture di riferimento dal 1848 in poi. Il Trentino moderno è nato dalla rivendicazione della sua alterità rispetto alla parte tedesca dell’antica contea del Tirolo. Colui che a buona ragione è considerato il padre delle rivendicazioni autonomistiche trentine, Giovanni a Prato, il rappresentante del Trentino alla Dieta di Francoforte del 1848, aveva scritto negli anni tardi della sua vita, in una specie di testamento civile per i trentini: “Siate concordi prima, nel prefiggervi di combattere con uomini di buona volontà la lotta di separazione dal Tirolo, poi chiamatevi liberali o clericali o come meglio vi piaccia”. E il grande storico italiano, Ernesto Sestan, che visse a Trento gli anni precedenti alla prima guerra mondiale, motivò così la crisi economica e sociale del Trentino di inizio Novecento: “La stentata industrializzazione, l’ostacolato sfruttamento delle risorse idroelettriche e forestali, gli impedimenti allo sviluppo stradale e ferroviario che non rispondevano ad obiettivi militari austriaci e, sul piano politico istituzionale: le prepotenze di Innsbruck e gli inconcludenti equilibrismi di Vienna”.
Da sessant’anni la cultura (e la politica) democratica italiana e austriaca hanno rimarginato le antiche ferite, rielaborato le reciproche sopraffazioni superando le inimicizie ereditarie, costruendo in questa regione un’ avanzata esperienza di dialogo e di convivenza.
I principi democratici della Resistenza italiana si sono innervati qui positivamente sulle politiche dei riscatti nazionali proprie del Risorgimento. Contribuirono a superare in avanti le antiche contese di fine ‘800 e le successive tragedie del ‘900, la forte tensione europeista, espressa nel 1941 con il manifesto di Ventotene, e financo nel drammatico febbraio del 1944 da Giannantonio Manci e dai suoi compagni nel Manifesto dei socialisti trentini.
A quei principi si può far risalire la soluzione regionale nata dall’accordo De Gasperi-Gruber e, con gli accidentati percorsi della storia, anche gli statuti di autonomia che da quell’accordo sono nati nel 1948 e nel 1972.
Custode di questo itinerario politico della nostra terra fu, per gran parte del Novecento, l’attuale Museo storico in Trento: testimone, nell’evoluzione del suo stesso nome, dei percorsi di questa storia, Museo del Risorgimento dal 1923 al 1945, Museo del Risorgimento e della lotta per la Libertà fino al 1994.
Un risultato positivo di una storia tormentata in una terra di frontiera dunque, che suonerebbe però come limite regressivo se l’orizzonte politico del Trentino dovesse avere oggi come riferimento prioritario i confini dell’antica contea degli Asburgo, che evoca nel nome, nella composizione e negli orientamenti delle sue vecchie istituzioni, accanto al buon funzionamento della pubblica amministrazione, anche i pronunciamenti reazionari, militaristi, discriminatori nei confronti di tutto quello che era diverso e risultato delle nuove idee di democrazia e di progresso. A tal punto da costringere la delegazione trentina ad Innsbruck a praticare lì, in modo continuato, forme di protesta parlamentari allora inusuali come l’astensionismo.
Il Trentino vive oggi una stagione di autonomia garantita senza precedenti dal punto di vista giuridico, ma contestata ai suoi confini come mai lo fu in questi sessant’anni di autogoverno. C’è risentimento a est, a ovest, a sud. A nord il Sudtirolo ci è vicino, nell’interpretazione di governo della Svp, solo e in quanto le sue rivendicazioni trovano supporto nei pronunciamenti trentini. Pronto a sganciarsi se da supporto si viene percepiti come zavorra.
La paura evocata da Bruno Kessler di un Trentino piccolo e solo in difficoltà a motivare una così estesa (e ricca) esperienza di autogoverno, si materializza nelle rozze e tante volte strumentali posizioni dei nostri vicini, che però fanno cronaca, possono diventare politica e alla lunga non potranno più essere ignorate.
La qualità delle nostre scelte ambientali, della mobilità, delle reti dell’economia dipendono da luoghi, regioni, istituzioni che limitare ad un rapporto corto dentro un confine ottocentesco di origine feudale, è limitativo e perdente.
D’altronde l’orizzonte dell’euroregione tirolese era già parso ambiguo e lacerante nel dibattito degli anni Novanta, sostituito dalla più aperta prospettiva dell’euroregione alpina, e, per quello che più immediatamente ci coinvolge, della regione dolomitica. Riferimenti concreti per dar corso ai contenuti della Convenzione delle Alpi e allo stesso obiettivo delle Dolomiti patrimonio dell’umanità.
D’altronde proprio dal Tirolo ci arrivano ben altre sollecitazioni.Innsbruck (come QT ha già riportato in un servizio del giugno 2004) intende qualificarsi, strategicamente, come porta Sud del Nord Europa; e intende strettamente rapportarsi con Trento intesa come porta Nord dell’Italia (e per questa via, del Sud del mondo): per formare congiuntamente una cerniera di interscambio culturale e commerciale. Ma in questo disegno al Tirolo non interessa un Trentino che lo scimmiotta, che si finge propaggine tirolese, bensì che si faccia portatore della cultura e degli interessi dell’Italia e del mediterraneo. E non è un caso che queste sollecitazioni abbiano finora trovato da noi solo risposte di mera cortesia: perché coraggiosamente rivolte in avanti, mentre i locali discorsi sul Tirolo storico sono penosamente ancorati a un passato rivisitato per la bisogna.
Insomma, una politica delle alleanze fatta di lungimiranza e non di tattiche, magari elettorali, può farci uscire dall’isolamento come è già stato nei momenti più fertili della nostra storia. Può darci una missione non ambigua.
La politica si è dimostrata senza voce. E’ importante che i non molti presidi della cultura trentina possano e sappiano, senza abiurare alle proprie origini e mantenendo un doveroso distacco dalle congiunture politiche, alimentare una storia interregionale non subalterna alle tattiche del presente.