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Da segno a segno

In una chiesa sconsacrata di Marino, sui colli romani, la bella mostra dell’ascetico amanuense Guido Strazza.

Occhio ai segni: così era scritto sull’asfalto dell’autostrada nel viaggio di ritorno da Roma a Trento, ma come potevamo non pensare alla poetica di Guido Strazza, dopo aver visto una sua antologica al Museo Civico Umberto Mastroianni di Marino, a due passi dalla capitale?

“Il lungo viaggio di Ulisse" (1963).

Avevamo già segnalato su queste pagine la splendida mostra di grafiche alla Basilica Palladiana di Vicenza (tra i più alti raggiungimenti del Novecento): nella continuità con la pittura lastre e tele, arte e vita portano incise le tracce del viaggio, del mistero e dell’interrogazione intorno ai segni primi del creato, ai segni primi dei progenitori delle caverne.

Il filo del reale nella pittura di questo artista, nato a Santa Fiora nel 1922, è allo stesso tempo corpo e metafora: un rilievo sulla tela ne accentua gli effetti luministici, un graffio scava invece il piano dell’esistenza, è segno direzionale e nel contempo emotivo, è ansia del nostos, nostalgia del ritorno di un nuovo Ulisse.

Nel precedente articolo avevamo fatto un accenno all’incontro con Gastone Novelli in occasione della Biennale di San Paolo del Brasile del 1953: questa volta siamo stati colpiti dalle incredibili coincidenze con un altro dei protagonisti della stagione a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, Achille Perilli, in mostra all’Auditorium di Renzo Piano, sempre a Roma. Comune il sentire di una generazione di artisti, linea e grovigli su fondo monocromatico sono il “quissimile della parete della prigione in cui l’io si sente racchiuso” (Bigongiari), l’individuale presenza sull’orizzonte del mondo. Nel caso di Strazza emerge una linearità apparentemente più razionale; gli stessi titoli delle opere parlano di “progetti di un viaggio” (1961), di “percorsi”; nel colore chiaro del fondo de “Il lungo viaggio di Ulisse” le linee dell’accettazione dell’assurda volontà di un dio rappresentano allo stesso tempo le diverse prove del resistere.

Guido Strazza (a destra) con Fausto Melotti.

Molto più segnate le tele di Perilli, nel recupero della gestualità automatica surrealista e nel confronto con il traboccante eros della pittura di Cy Twomly in quegli anni a Roma. Seguirà il ciclo delle Meridiane, dove il movimento si farà dolce: le plastiche aggettanti sulla superficie della tela avviteranno “geometria e luce, concetto e percezione” (per Argan).

“Vedere è chiudere gli occhi” aveva scritto Wols e, avanzando nel tempo e giù nell’abisso, Strazza scoprirà il colore. Gia le ombre delle Meridiane avevano creato aloni; ora l’uso dell’aerografo caratterizzerà il “ricercare” con la ripresa delle temetiche razionaliste dei ceramisti del periodo di Weimar, dove l’addensarsi e lo sfumare verso il centro o verso gli angoli si fa simile ai profumi e ricordi dell’infanzia , presenti eppur indefinibili. E poi ancora le suggestioni delle tracce del passato, i “segni di Roma”, le serie dei Cosmati, degli Obelischi, delle Colonne spezzate e dei continui richiami al bisogno di progettualità.

La pittura di Strazza ha costruito ponti; i suoi “archi”, gli “orizzonti” tesi in un dinamismo vitale danno la misura di un’appagata energia di conoscenza.

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