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Festival dell’Economia: qualche idea per il futuro

Il Festival dell’Economia ha avuto successo: era la prima edizione, e questo legittima molte riflessioni e spunti critici, con lo scopo di proporne successive edizioni migliori.

Partiamo dal dato che ha sollevato molte domande: i soldi spesi. Seicentomila euro sono molti soldi per tre giorni, ma l’idea era buona. Forse si potrà fare di meglio con maggiore sobrietà, per esempio risparmiando qua e là, si potrebbe dedicare una parte delle risorse spese per i soli giorni del Festival, alla restituzione degli esiti nel corso dell’anno ai cittadini, in un dopo-festival..

Questo dopo-festival (leggero e sobrio, appunto) dovrebbe essere organizzato sia in città (Trento, Rovereto, Pergine, Borgo, Riva, Arco, ecc.) sia - e forse soprattutto - nelle valli.

Condivido l’analisi di questo giornale, quando si dice che le valli oggi soffrono una dinamica metropoli-centrica, con la conseguente minore offerta di opportunità culturali e di confronto. Così apriamo uno dei temi che sarebbe opportuno affrontare nella prossima edizione: infatti giustamente molto si è parlato di processi globali, tuttavia sono mancate totalmente le Alpi. Non vi è motivo di escluderle dal dibattito.

L’ arco alpino è un luogo fisico e politico di grande interesse, per le dinamiche che ha vissuto e vive proprio nella relazione globale-locale; esogeno-endogeno.

E nelle Alpi uno dei temi forti è senza dubbio la relazione metropoli-periferie; le Alpi stesse oggi vivono in parte uno "status di periferia del mondo delle metropoli", le Alpi sempre più rischiano di perdere la propria autonomia funzionale ed economica e di appiattirsi in un ruolo preponderante di spazio per lo sfruttamento esogeno e monofunzionale, il che è un danno grave a partire dalla qualità della vita dei residenti.

Nella prossima edizione del Festival sarebbe opportuno inserire proprio una sezione "Alpi". Il Presidente Dellai ha ipotizzato il tema del cambiamento, per la prossima edizione.

E’ un tema perfetto: le Alpi nei secoli hanno subito numerosi cambiamenti esogeni oppure del tutto interni, i cui esiti oggi ci hanno condotto ad uno snodo fondante del nostro futuro: di questo si dovrebbe anche parlare, con grande interesse sicuramente anche per i relatori e ospiti esterni, che dalla nostra storia e dalla criticità del nostro presente potrebbero imparare o rendere esplicite alcune regole del gioco della globalizzazione, e viceversa potrebbe essere molto interessante invitare a parlare di Alpi proprio degli esperti internazionali.

La cosa importante sarà, se parleremo di Alpi, non accettare alcuna censura dal potere locale, che ovviamente non apprezza troppo l’approfondimento delle criticità.

Recentemente è uscito in libreria un testo importante: "Le Alpi" di Werner Bätzing (editore Bollati Boringhieri). Bätzing, uno dei migliori esperti europei di dinamica alpina, nel libro propone una lettura complessa dello stato delle Alpi: oggi le Alpi sono una macroregione in bilico fra chiusura, marginalità e dipendenza funzionale dall’esterno e invece apertura e dinamismo autonomo; sono una macroregione non riconosciuta pienamente dall’Europa (e nemmeno al proprio interno), come accade in generale per altre regioni europee.

Infatti l’Europa vive ancora di Stati nazionali e ragiona ancora per regolamenti unitari anche in ambiti che necessitano invece di adattamenti, laddove per esempio nel settore del trasporto di valico (merci soprattutto, meno passeggeri) o delle dinamiche del turismo o ancora dell’agricoltura di montagna, è evidente che le regole economiche devono essere adattate, per non schiacciare le Alpi o in generale le varie regioni che compongono l’ Europa, attraverso e dentro gli Stati nazionali.

Insomma, la normazione europea deve transitare verso un adattamento federalista regionale (non statale), a partire dalle caratteristiche fisiche, ecosistemiche dei territori, secondo la logica del "controcorrente", secondo cui lo stadio alto (la Convenzione delle Alpi, qui) dovrebbe ratificare e controllare che le pianificazioni territoriali siano compatibili con l’equilibrio generale della regione e dell’Europa.

Allora si dovrebbe, al prossimo Festival, parlare dello stato di attuazione della Convenzione delle Alpi, che rappresenta un ottimo driver politico per strutturare scelte e orientamenti adatti al sistema naturale, economico, culturale delle Alpi; così come altre conferenze internazionali (purtroppo ignorate dalla gran parte dei cittadini europei) stanno lavorando gradualmente per ottenere altrettanti adattamenti alle specificità di altre regioni (per esempio, la Conferenza del Mediterraneo, la Conferenza del Mare del Nord, la Conferenza del Mar Baltico, il Consiglio Artico o la recentemente sottoscritta Convenzione dei Carpazi).

La costituzione di organismi transfrontalieri è la reazione all’aumento di problemi ambientali nelle regioni di frontiera, dove la presenza del confine non consente la nascita di una responsabilità ambientale comune e le diverse politiche nazionali e la concorrenza fra gli stati stessi accentuano i problemi.

Anche sulla concorrenza fra stati e regioni, per esempio, il Festival potrebbe raccontarci molto: per esempio sarebbe opportuna un’analisi lucida e obiettiva (è possibile?) dello stato attuale del turismo nelle Alpi e proprio dei problemi che suscita la concorrenza al ribasso fra territori e addirittura fra stazioni dentro uno stesso territorio (per esempio il Trentino-Alto Adige).

Bisognerebbe analizzare poi la struttura economica attuale delle Alpi, fortemente legata allo sfruttamento esogeno, capire in quale misura questo è tollerabile e capace di futuro; capire come l’uso endogeno (agricoltura di qualità, industria, artigianato, produzione culturale) sia sostenibile economicamente e come esportarne eventuali surplus verso l’esterno, appunto senza mettere però in moto dinamiche pericolose di concorrenza peggiorativa fra regioni alpine.

Per questo bisognerebbe parlare meglio della Convenzione e delle sue potenzialità come veicolo, appunto, di coesione nelle Alpi (oggi carente), politica e di proposta, affinché le Alpi sappiano proporre al mondo extralpino limiti conservativi della propria qualità e autonomia (per esempio, rispetto al traffico di merci, oppure rispetto allo sfruttamento idroelettrico, oppure ancora rispetto alle modificazioni genetiche delle coltivazioni, che indurrebbero effetti pesanti sulla fragile agricoltura montana, e ancora rispetto al turismo, ovviamente)

Il Festival potrebbe infine analizzare l’ interessante idea guida del Bätzing, quella del "doppio uso equilibrato". Ovvero: le Alpi possono realizzare un modo di vita sostenibile, che non necessariamente sottende la crescita quantitativa ubiquitaria, solo se, né isolate né bacino d’influenza e utenza delle singole "metropoli" afferenti, sapranno restare, o tornare ad essere, uno spazio abitativo ed economico relativamente autonomo e multifunzionale, con una propria responsabilità.

Ce n’è abbastanza per due festival, forse....