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Il cognome della madre? Perché no?

Una interessante sentenza della Cassazione.

I giornali del 20 maggio scorso e anche i notiziari radio-televisivi hanno dato rilievo ad una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (prima sezione civile, presidente Gabriella Luccioi) in materia di attribuzione del cognome materno in una causa di riconoscimento di paternità. Si tratta di una sentenza importante, in materia di figli naturali, che condivido e ritengo debba essere largamente conosciuta. Non dispongo ancora della motivazione, che commenterei volentieri. Traggo comunque la notizie da giornali autorevoli e mi permetto qualche osservazione.

Di norma, nella famiglia legittima e in quella naturale, i figli portano il cognome del padre. In realtà non esiste (almeno non mi risulta) una norma esplicita che imponga di dare ai figli il cognome del padre. L’articolo 6 del Codice Civile stabilisce che "ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito". Ma quale legge? Molte volte, in passato, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che "la norma non ha trovato corpo in una disposizione espressa", ma ha affermato che è implicita nel sistema, e pertanto il cognome del padre si estende di diritto al figlio. Tale conclusione pecca, a mio avviso, di incostituzionalità, soprattutto dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975, che stabilisce criteri di uguaglianza e di pari dignità fra i coniugi. Perché dunque il figlio non potrebbe assumere il cognome materno o quello di entrambi i genitori?

Ricordo che tempo fa (vedi "Questioni di famiglia", su QT del 25 marzo 2005) due coniugi chiesero congiuntamente il cambiamento di cognome del figlio minore, volendo attribuirgli quello materno. Ciò per riconoscenza verso il nonno materno che aveva contribuito notevolmente alla crescita e alla educazione del nipote, ed anche per evitare che il cognome del nonno si estinguesse.

Il Ministro degli Interni però respingeva la richiesta, perché a suo parere i motivi addotti non giustificavano un’eccezione al principio della immutabilità del nome. I genitori ricorrevano allora al Consiglio di Stato, che con parere del 17 marzo 2004 n° 515 dava loro ragione.

Il Consiglio di Stato così motivava il parere: "E’ vero che per legge il figlio assume il cognome del padre, ma la legge stessa prevede che può essere cambiato, per esempio quando è ridicolo o vergognoso (in tal caso decide il Prefetto), ma anche per altri motivi che appaiano meritevoli di considerazione (in tal caso decide il Ministro degli Interni). Solo puntuali ragioni di ordine pubblico possono negare il diritto al cambiamento del cognome".

Con la recentissima sentenza citata all’inizio, la prima sezione della Cassazione non ha fatto che applicare questo principio anche ai figli naturali, nati cioè fuori dal matrimonio. La sentenza infatti ha respinto il ricorso con cui un padre, dopo aver riconosciuto ad anni di distanza la paternità di un figlio, cresciuto ed allevato dalla madre e praticamente da lui ignorato, chiedeva che il cognome materno venisse sostituito da quello paterno.

La Cassazione gli ha dato torto, per tutelare l’identità personale del minore, che non avrebbe potuto riconoscersi nel cognome del padre, con cui non aveva mai vissuto, e che inoltre era un esponente della criminalità organizzata.

Sentenza giustissima, che dovrebbe stimolare il legislatore a regolare meglio la materia, eliminando ogni residuo di maschilismo arcaico.

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