Garda: natura e business
Parte, fortissimamente ridimensionato, il progetto di Giorgio Domenichelli di un insediamento turistico in riva al Garda, contestatissimo e bloccato negli anni ‘80. Cosa è rimasto di quello scontro? Una storia che ci parla della cultura turistica del Trentino, di allora e di oggi, e delle prospettive per il futuro.
Nel 1986 querelò Questotrentino chiedendo un risarcimento di 800 milioni per la nostra campagna stampa contro il suo maxi progetto di insediamento turistico denominato Porto Arco, che avrebbe rivoluzionato (ossia stravolto) la costa gardesana. Alcuni giorni fa, a venti anni da allora, il medesimo imprenditore, Giorgio Domenichelli, ci accoglieva con grande cortesia al Casinò di Arco, nel giorno del concreto avvio di quello che oggi resta dell’antico progetto. E usava parole di rispetto per gli "oppositori magari duri, ma leali".
Cosa è successo nel frattempo? Quali sono stati, infine, gli esiti di uno scontro culturale, politico, giudiziario, durissimo, al cui interno, come vedremo, è stata poca cosa la querelle tra il grande impresario e il piccolo periodico? Come ne è uscita l’idea di turismo ed ambiente in una zona importante come il Garda trentino?
Di questo trattiamo in questo servizio, parlando di una storia che parte dagli anni ’60 e si proietterà, con varie implicazioni, nei lustri a venire.
Il grande progetto di Giorgio Domenichelli, inizialmente 180.000 metri cubi di edificato su un’area di 90.000 metri quadri (ora siamo a 20.000 mc, su 18.000 mq: la differenza è abissale) affonda le radici in una cultura oggi lontanissima. Era la logica degli anni ’60, dei "poli di sviluppo", che dovevano mettere in moto l’economia nelle aree sottosvilupppate, come appunto il Trentino di allora. Questo in campo industriale, ma anche turistico: di qui gli insediamenti turistici a Folgarida, Marilleva, Fassalaurina, che oggi appaiono indegne speculazioni, ma che allora erano motivo di speranza. Era una delle "intuizioni", questa volta sbagliata, di Bruno Kessler (anche i padri della patria fanno fesserie, con buona pace dei postumi cori sempre encomiastici): il Piano Urbanistico Provinciale del ’68 prevedeva, anzi incentivava queste realizzazioni. E fra queste anche l’area del Comune di Arco, che tra il Sarca e il monte Brione giunge al lago.
"Fu il commercialista Dario Canal (allora snodo dei poteri forti a cavallo tra Trentino e Alto Adige, n.d.r.) a prospettarmi l’impresa – ci dice Domenichelli – Mi portò oltre il passo San Giovanni, dove dall’alto si vede il Sarca e il Linfano, l’area da valorizzare. E mi convinsi subito".
E’ uno dei punti magici del Trentino: i cipressi, le rocce con le marmitte dei giganti in primo piano e, sotto la foce del fiume, la lunga ampia plaga verde a ridosso del blu del lago, e poi dietro i contrafforti del Brione, e dietro ancora i monti di Riva. Fino dai tempi dei viaggiatori settecenteschi, a iniziare da Goethe, il turista rimane a bocca aperta.
E l’imprenditore, soprattutto in quegli anni, pensa alla "valorizzazione".
Sarebbe però ingeneroso cucire addosso a Domenichelli i panni dello speculatore. Iniziò a comperare i terreni e a far redigere un progetto, unitario e di ampio respiro. Un grande porto, tanti metri cubi, tanto verde. Un bel progetto, straordinario se paragonato alla schifezza che parallelamente andava avanti dall’altra parte del monte, a ovest del Brione, dove tra Arco e Riva veniva agglutinandosi una mucillagine di costruzioncine, a rendere penosa la strada tra i bei centri delle due cittadine.
Così Domenichelli - che nel ’75, anche per seguire l’intrapresa, si era trasferito a Trento - arrivava, tra l’82 e l’84, a farsi approvare il progetto dal Comune di Arco (giunta di centro-sinistra).
Ma erano passati troppi anni. E l’idea di fondo, del "polo di sviluppo", del grande investimento immobiliare, era uscito dalla cultura urbanistica, politica, socio-economica del tempo. Fassalaurina era fallita, Folgarida e Marilleva annaspavano; addirittura in val Senales il costruttore di una maxi multiproprietà in alta quota, travolto dai debiti, si era sparato alla testa nella lussuosa e vuota piscina del villaggio.
Fu in questo clima che l’opposizione ambientalista incominciò a trovare sempre più ampi consensi: siamo sicuri che cementificare quella bella e preziosa plaga verde sia un affare per la comunità? E per il turismo? Di lì le polemiche, roventi: da una parte il Comune di Arco e Domenichelli (comproprietario anche di banche – la Calderari – e di giornali – l’Alto Adige), dall’altra l’ambientalismo, Solidarietà, il Psi di Trento, Questotrentino e Vita Trentina (querelata anch’essa per 1,2 miliardi).
Come si vede, uno schieramento impari. Anche perché Domenichelli aveva fatto tutto per bene, il suo progetto era in regola con i dettati del Piano regolatore di Arco e del Piano urbanistico provinciale.
Ma ecco il punto di svolta. Nel luglio dell’85 crollano le dighe di Stava; e il fango, oltre a 300 morti, si porta dietro la credibilità ambientale del Trentino e la giunta Mengoni. Alla guida della Provincia viene Angeli, con vice – e assessore ad Ambiente e Urbanistica – il socialista Walter Micheli. "Come banco di prova di un effettivo nuovo corso chiediamo a Micheli tre stop: alla PiRuBi, alle centraline nei rii montani, all’Arcoporto" – scriveva Questotrentino.
Lasciamo la parola allo stesso Micheli: "Il problema Arcoporto era una questione nazionale: un intervento altamente impattante, secondo una logica superata, nell’unica zona libera, e di alto pregio, del Garda. Questo prima ancora di Stava. Nella mia relazione di minoranza al bilancio dell’85 avevo posto come dirimente questa questione. Quando poi, pochi mesi dopo, mi trovai ad averne la diretta responsabilità come assessore, non potei che essere coerente".
Non fu un passaggio facile. "Se pur era evidente il fallimento di quel modello di turismo, devo dire che una parte la giocò anche il caso – prosegue Micheli – Era emerso l’inquinamento del Garda, ripreso dai giornali tedeschi e l’immagine stessa del lago scricchiolava. E poi il disastro di Stava, con cui il Trentino si era giocato la credibilità. Dovevamo dimostrare di saper gestire il territorio. A questo punto non si poteva rischiare che la stampa tedesca scrivesse: il Garda è inquinato, e i Trentini vi costruiscono ancora un mega villaggio".
Alla recente serata sul nuovo progetto, l’architetto Sergio Dellanna, assessore all’urbanistica ad Arco negli anni scorsi, e promotore - come vedremo - dell’attuale soluzione, propose un’interpretazione di quel passaggio della vicenda. "Micheli e l’ambientalismo furono solo il paravento – dice Dellanna – In realtà a non volere l’Arcoporto c’erano ben altre, più influenti forze: gli immobiliaristi di Riva, ottimamente ammanicati nella poltica, che non volevano un corpo estraneo’come Domenichelli nella loro area d’influenza; e ne aspettavano il fallimento, per spartirsi i terreni".
Chiediamo a Dellanna di approfondire questa ricostruzione, che non ci convince.
"Ne abbiamo avuto la prova alcuni anni fa, con la vicenda della Jumela. Il vicepresidente della Giunta e assessore all’urbanistica, Pinter, era contrario agli impianti e aveva in questo il sostegno della pubblica opinione. Ma di fronte al presidente Dellai ha dovuto alzare bandiera bianca, perché dietro la sua causa c’era solo il mondo ambientalista. Non c’erano quegli interessi corposi, che invece sottacqua lavoravano contro Domenichelli".
Questo parallelismo Arcoporto\ Jumela, Micheli\Pinter, dicevamo, non ci convince. Sentiamo i diretti interessati.
Domenichelli, che ci tiene a distinguere tra oppositori leali e non: "Il punto fondamentale è che sono solo, non ho le giuste frequentazioni, non conto elettoralmente (a differenza della società Buffaure, progettista della Jumela). E non pago mazzette, che pur mi sono state proposte".
Micheli: "Se agissero anche altre forze, non so. Io so che, per bloccare l’Arcoporto, ho dovuto mettere sul tavolo le mie dimissioni. Al momento del voto, in Giunta erano assenti l’assessore Ricci (anch’egli socialista, di Arco, favorevole al progetto) e Tarcisio Andreolli (i kessleriani erano pro Domenichelli); e ci fu l’astensione del liberale Crespi (contrario al progetto ma anche a rivedere il parere positivo dato a un privato). La mia delibera passò con il minimo di numero legale. Se non fosse passata mi sarei dimesso".
Questo a noi sembra il punto. La convinzione delle proprie idee, di portare un nuovo tipo di sviluppo. Nel 2000 Pinter e i Ds non osarono rischiare di mettere in crisi la Giunta Dellai sulla Jumela ("Chi se ne frega della Jumela!" dicevano in via Suffragio): la Giunta si salvò e la sinistra si smarrì, dimostrando di non credere a niente non sapendo sostenere niente, e riducendosi a mera agenzia di collocamento (qualche modesto sussulto di progettualità lo si intravvede solo ora, vedi articolo a pag. 6). Al contrario la determinazione di Micheli portò il Psi ad essere forza propulsiva e a sviluppare la politica ambientale che per una decina d’anni (con il Pup, i parchi, la lege urbanistica, il Via, il ripristino ambientale) pose il Trentino all’avanguardia, e ancora ne godiamo i dividendi.
Ma l’azione di Micheli (dapprima una serie di cavilli poi, con il Pup dell’ 87, lo stralcio del porto e il vincolo della zona come area di tutela ambientale) non poteva certo fare felice Domenichelli, che aveva perso gli anni favorevoli al suo tipo di sviluppo proprio perché aveva voluto fare le cose per bene.
"Il tragico – ci dice - è che noi non comperammo di nostra iniziativa i terreni per fare il porto (per cui non avevamo nessuna idea né competenza); ma bensì su espresso invito del Comune, che vincolava la possibilità di costruire alla realizzazione del porto. Per cui ci indebitammo per comperare terreni, istruimmo tutte le pratiche al Genio Civile, impiegammo anni per arrivare con un progetto ampio e compiuto. E poi...".
Così Domenichelli iniziò la sua battaglia. Sul piano legale: contestazioni, ricorsi, al Tar, al Consiglio di Stato, dovunque. E non solo sulla propria vicenda. Andò a rovistare in tutte le pattumiere dell’urbanistica del basso Sarca. Trovando – facilmente ahimè, e questo è un problema immenso, che riguarda tanti (tutti?) i nostri Comuni – porcherie varie, favori illeciti o anche semplici sbagli. Trascinò in Tribunale il progettista del Prg di Arco, l’arch. Siligardi e lo fece condannare in primo grado per mazzette (assolto in appello per prescrizione); organizzò una serata al Casinò dal titolo "Mala Urbanistica" con relativa documentazione, e la statua della puttana dantesca Taide a raffigurare l’urbanistica trentina.
Domenichelli si sente gravemente danneggiato: "Legga le motivazioni con cui in tutti questi anni mi hanno bloccato: ‘habitat mediterraneo... il leccio... l’olivo... il microclima...’ Ma sono cose che valgono solo per me; oltre il Sarca basta, il leccio e il microclima non contano più niente, lì si costruisce senza problemi".
"Beh, il punto non è oltre il Sarca, dove tutto sommato in questi anni non ci sono stati gravi danni – risponde Micheli – Il problema è ad ovest del Brione, con l’informe proliferare di seconde case. Sì, Domenichelli ha ragione, è lo scandalo dell’urbanistica e l’incapacità dei Comuni a gestire il territorio. Ma la battaglia è nel porvi rimedio, non nell’allargare gli scempi".
Domenichelli, con il capitale investito del tutto inutilizzato, incominciò ad avere problemi finanziari. E incominciò a vendere. Ma in maniera scientifica: ora a un proprietario, ora all’altro, evitando che si potesse ricomporre un disegno unitario senza di lui. E tenendosi particelle strategiche, per controllare una strada, un accesso, una proprietà. E se il Comune iniziava un’opera pubblica, subito si opponeva, aprendo un contenzioso infinito.
In quegli anni Sergio Dellanna viene nominato assessore all’Urbanistica al Comune di Arco.
"Se i terreni di Domenichelli a nord della strada erano rimasti verde agricolo, quelli a sud, sulla punta del lago, i più appetiti, presentavano una situazione di degrado urbanistico – ci dice Dellanna – Le proprietà frammentate e litigiose, campeggi in guerra tra loro, il comune di Riva contro quello di Arco, accessibilità disastrosa, fogne che saltavano... E Domenichelli che da una parte, abilmente, fomentava l’ingovernabilità, dall’altra proclamava l’intenzione di vendere tutta la sua proprietà pezzetto per pezzetto a proprietari disparati. Era indispensabile intervenire".
La trattativa si sviluppa su questa traccia: Domenichelli cede alla società comunale Amsa tutti i terreni, tranne una porzione (17.600 metri) all’interno, su cui può realizzare un proprio progetto.
E le (tante) cause ancora pendenti? Domenichelli fa pace con Arco, ma prosegue nei contenziosi, giuridici ed economici, con la Provincia. Su queste basi si firma.
"La scommessa è riqualificare urbanisticamente la zona del lago. Fornire un supporto adeguato al nuovo turismo. Il tutto a costo zero – afferma Dellanna.
"Si tratta di decidere la vocazione turistica del Garda. Che è mutata e sta ancora mutando – prosegue l’architetto – Il turismo famigliare, soprattutto tedesco, che è stata la grande risorsa dagli anni Cinquanta, è in esaurimento, si rivolge ormai ad altre mete. Sono sorti due nuovi turismi: quello legato al polo fieristico a Riva e quello sportivo, con epicentro a Torbole. Surf, vela, arrampicata, bike: vengono sul Garda i campioni del mondo, e non li valorizziamo. Abbiamo uno dei campi di regata più famosi, con venti garantiti e costanti, altro che San Diego! A testare le barche della Coppa America vengono qui!".
Questo turismo è ovviamente ben diverso da quello della famigliola. "E’ un turismo benestante ma di pochi giorni. Vuole servizi specifici, per sua natura ama l’aria aperta, la libertà, l’ambiente integro. Il campeggio ne interpreta al meglio lo spirito. Ma nella stagione intermedia, quando il vento, da prezioso può diventare fastidioso, il campeggio deve essere attrezzato. Il nostro scopo è trasformare il Garda nella maggior palestra a cielo aperto d’Europa".
In soldoni: l’Amsa, ricca perché già gestisce un proficuo campeggio alla foce del Sarca, acquista i terreni di Domenichelli (tranne la porzione all’interno). Sposta il proprio campeggio a nord della strada, liberando la punta, da destinare a parco nautico (e in prospettiva, un porto: sì, ancora, tra Riva e Torbole i posti barca valgono oro). A nord il campeggio viene ingrandito, elevato di categoria, attrezzato con bungalows, attrezzature sportive, piscina, palestra. A nord ancora si attesta Domenichelli.
Come? L’imprenditore, che ha battagliato per trent’anni, vuole lasciare una propria impronta. E raggiunge un’intesa con Dellanna. Il suo centro si raccorda con il campeggio attraverso una piazza che funge da cerniera: e poi sviluppa le costruzioni in maniera da costruire un "effetto paese". E imposta il tutto attorno a un centro-benessere.
"Avrei potuto fare un condominio da quattro soldi, vendere e andarmene – ci dice – Invece no: stiamo girando l’Europa per imparare, vogliamo un Centro Benessere che sia un punto qualificante, un servizio per le 2000 persone dei campeggi e le 40.000 di Riva, Torbole ed Arco. Anche se operando così, la riuscita economica non è garantita. E noi ci teniamo non solo a costruire, ma anche a gestire".
Sono previste tre-quattro piscine, al chiuso e all’aperto, due delle quali collegate con la possibilità di passare, rimanendo in acqua, dall’una all’altra. E poi saune, docce, bagni turchi, massaggi, ecc. "Non sarà una cosa grande come a Bressanone o Merano, non vogliamo grandi afflussi che la viabilità non consentirebbe. Puntiamo sulla qualità".
Questi i progetti. Che però dalla parte pubblica si sono subito arenati. L’Amsa ha acquisito i terreni, ma non vuole trasferirvi il proprio (redditizio) campeggio.
"Perché mai? Perché noi sì e i due campeggi privati (e concorrenti) no? – argomentano.
Il fatto è che trasferire i campeggi privati non è semplice. E che compito di un’azienda pubblica non dovrebbe essere massimizzare i profitti, ma fornire servizi, perseguire obiettivi a favore della comunità. E qui l’obiettivo è riordinare urbanisticamente la zona e attrezzarla per un’evoluzione della clientela turistica.
Ma si sa: queste società parapubbliche rispondono a logiche proprie, i loro presidenti (Matteotti prima, Amistadi ora) di nomina politica, sono dei ras, e perseguono le proprie finalità. Lo vediamo ovunque: solo dei politici forti sono in grado di mettere in riga le società, altrimenti la sacrosanta autonomia gestionale di queste diventa anche autonomia nelle scelte strategiche.
In poche parole: anche se il proprietario dell’Amsa è – per oltre il 90% - il comune di Arco, questi (Veronesi) non ne decide le linee di fondo. Anzi, è il presidente dell’Amsa a voler decidere la politica urbanistica del Comune.
Conclusione: il campeggio non si sposta, il riordino non si fa, il Prg di Dellanna non viene attuato. Se non nelle costruzioni di Domenichelli.
Cosa è rimasto di tutta la vicenda? "La mia opzione era passare dal Porto Arco al Parco Arco, una grande area naturalistica, tutelata e finanziata dall’unione Europea – risponde Micheli – In ogni caso si sarebbe dovuto discutere di tutta la zona, da Riva a Torbole. Siamo invece alle discussioni dentro il Comune di Arco, ai litigi di paese, alle rivalità tra sindaco e presidente. Il risultato di questo sminuzzamento delle decisioni su un problema troppo grande per le camarille paesane, che doveva essere affrontato a livello provinciale, non è positivo. Ormai la storia dovrebbe avercelo insegnato: la singola comunità locale non è in grado di gestire certi grovigli di interessi".
Per intanto dalle curve del passo San Giovanni vediamo ancora, guardando in giù, un paesaggio che ci allarga il cuore.