Linfano, la difesa del territorio
Arco: un convincente convegno sull’utilizzo del suolo. Le distanze siderali tra i proclami e la pratica; e il grande esempio di chi riesce a praticare razionali politiche urbanistiche
Un sindaco che decide di togliere l’edificabilità a dei terreni e farli tornare agricoli. È stato questo esempio, in Italia del tutto all’avanguardia, ad animare una serata di fine settembre ad Arco, organizzata dal Comitato di difesa del Linfano, in una sala riempita da circa duecento persone.
Il caso del Linfano è noto ai lettori di QT: riguarda gli appetiti speculativi sulla splendida area a verde agricolo compresa tra il litorale del Garda, il monte Brione, e il fiume Sarca. Un non senso, come hanno ribadito (persino! ed è un ottimo segno) gli albergatori della zona, come del resto gli stessi turisti interpellati: una località turistica ha senso finché ha delle bellezze da esibire; se si continua con l’attuale andazzo tipo il supermercato della Lidl in riva al lago, finisce che il turista resta a casa, o magari va alle Canarie.
Le sconsideratezze, le cose senza senso, però, si ripetono: e questo vuol dire che dietro c’è una cultura, o forse una sottocultura, comunque forte e radicata. Di qui il senso della serata, un convegno dal titolo “Suolo, Paesaggio, Linfano, il coraggio delle scelte” per inquadrare il tema delle scelte sul Linfano all’interno della cultura urbanistica italiana, quella ufficiale sbandierata nei programmi e quella realmente praticata, nel bene qualche volta, ma soprattutto nel male.
Iniziavano infatti Chiara Parisi e Duilio Turrini del Comitato per il Linfano, a inquadrare il tema specifico. Una dettagliata analisi storica ricostruiva i continui assalti all’area fin dagli anni ‘70, dopo il primo Piano Urbanistico Provinciale del ‘68, quello di Kessler. Con una dinamica costante: da una parte la Provincia che cerca di arginare le edificazioni e che nel ‘99 ufficialmente riconosce il valore primario del suolo non occupato; dall’altra il Comune, che sempre spinge per nuove “valorizzazioni”.
Così via via il lungolago (a sud della SS240) diventa un coacervo di campeggi e parcheggi, con il fiore all’occhiello del capannone della Lidl, mentre in parallelo si permettono erosioni del terreno agricolo a nord della statale, in cambio di spostamenti di parcheggi e campeggi, che però mai avvengono.
Il tutto favorito dal fatto che uno degli attori è la municipalizzata comunale Amsa, che nemmeno per sogno pensa al bene comune, ma al contrario – governata dall’uomo forte del luogo, l’ex sindaco Renato Veronesi – impone i propri interessi aziendali, che sono allargare il proprio parcheggio, incrementare il campeggio, costruire sull’area a nord della statale. Inutile dire che nel Comune e in particolare nel sindaco Alessandro Betta, Veronesi, che è della stessa area politica (il Pd particolarmente “realista”, se mai ne esiste uno “idealista”), trova perfetta consonanza.
Ma al di là delle singole persone, di Veronesi e di Betta - che in sala era presente con faccia tirata, che diventava arcigna quando il nostro fotografo indugiava nel riprenderlo – al di là dei gruppi di interesse, il tema – dicevamo - è la cultura di questi amministratori, la molla che sempre li spinge verso la cementificazione: “Qui prima si decide di costruire, poi si vede cosa metterci” - aveva ironizzato il presidente degli albergatori.
Su questo si imperniavano gli interventi dei relatori, Paolo Pileri, docente al Politecnico di Milano, e il sindaco Matilde Casa, diventata famosa per aver osato rendere agricola un’area edificabile. Insieme hanno scritto un libro dal titolo quanto mai evocativo: “Il Suolo sopra Tutto - Cercasi ‘terreno comune’: dialogo tra un sindaco e un urbanista”.
Pileri partiva dalla contraddizione che attanaglia l’urbanistica: le parole sono sempre bellissime, i piani anche, la loro traduzione pratica è tutt’altro. In particolare sul consumo di suolo, oggi ostracizzato nei documenti preliminari, ma praticato con forte pervicacia nei fatti. Perché nell’urbanistica “la normalità è creare terreni edificabili”. A questo si pensa, quando si disegna un Prg, e ancor più quando lo si attua.
La sua esperienza di sindaco che la pensa in modo opposto, l’ha portata Matilde Casa. “Ho fatto il sindaco (non la sindaca, come il poeta maschio non vuole essere chiamato poeto) di Lauriano (provincia di Torino) con alcune idee in testa: anzitutto il rispetto del suolo. Come primo atto ho rinunciato a un contributo regionale per una nuova scuola, da edificare fuori dall’abitato. Dopo due notti insonni ho scritto alla Regione: ‘Grazie, no’, la scuola l’abbiamo ricavata riadattando un vecchio stabile nel centro del paese”.
In quest’ottica la sua Giunta tolse l’edificabilità a dei terreni. Un atto rivoluzionario in un paese in cui risulta nei fatti primario, anche attraverso provvedimenti della magistratura, il diritto a costruire.
“Mi disse il magistrato: ‘Ma lei sa che facendo così impedisce a un imprenditore di costruire tante belle casette?’’ Io non pensavo di fare una cosa di grande impatto, bensì di fare il mio dovere applicando gli strumenti dell’amministratore. In Italia in genere gli amministratori usano il suolo nel migliore dei casi per fare cassa, poi anche con motivazioni peggiori, e in ogni caso con una visione dello sviluppo distorta”.
Il gip la rinviò a giudizio. La richiesta del PM fu un anno e mezzo di reclusione e 120.000 euro di sanzione.
“Mi sono sentita sola e abbandonata, a far parte di una categoria che non ammiro particolarmente, quella degli eroi e martiri. Ma non ero sola, c’erano amministratori e cittadini, e mentre la Stampa fece un articolo contro gli amministratori che non lasciano lavorare le imprese, invece Repubblica mi difese, e così sul Corriere Sergio Rizzo”.
Matilde Casa fu assolta.
Da allora è diventata un simbolo: “Da allora moltissime associazioni e amministrazioni in tutta Italia mi hanno chiamato, per capire come fare qualcosa per uno sviluppo diverso e non finire in galera. Ho avuto solidarietà da molte persone, compresi i costruttori, che mi dicono: ‘Abbiamo tantissimo suolo occupato, tante costruzioni inutilizzate, dobbiamo pensare a lavorare in modo diverso’”.
Questa popolarità non è stata una cosa confinata a una minoranza: Casa le elezioni per il primo mandato le vinse col 50% di voti, al secondo, a processo in corso, col 70%.
Non è difficile crederle. È una donna concreta ma affabile, sprizza determinazione e simpatia. E sulla gestione dell’urbanistica comunale ha le idee chiarissime: “I Comuni, anche quelli retti da amministratori onesti, in genere concedono edificazioni per fare cassa con i conseguenti oneri di urbanizzazione. Ma è un assoluto non senso, perché i conti non tornano: perché poi delle opere di urbanizzazione devi pagare non solo la realizzazione, cui sei obbligato, ma anche la manutenzione. E il saldo è pesantemente negativo. E allora, al giorno d’oggi, consumare suolo è semplicemente stupido”.