Un naufragio troppo divertente
"La nave fantasma" su una delle tragedie delle carrette del mare: tanto impegno civico, ma al contempo eccessi di prolissità ed esuberanza anche clownesca.
Quando vai a vedere uno spettacolo di denuncia civile, non dovresti porti il problema dell’estetica teatrale, degli aspetti tecnici, delle citazioni, dell’interpretazione; insomma, dovresti smettere i panni del critico e tenerti stretti addosso, se li porti, quelli del cittadino. Sempre che tu vada ad assistere a quello spettacolo per testimoniare la tua partecipazione e la tua solidarietà alle vittime di soprusi, di cui in tale spettacolo ovviamente si parlerà, e di cui sai già qualcosa o tutto, perché solitamente sei informato.
Magari vai allo spettacolo per "farti quattro risate", perché conosci gli attori, li hai già visti al lavoro e ti sono piaciuti, quindi sei lì (anche) per ragioni, diciamo così, meno nobili, ma probabilmente non censurabili. Il teatro è un luogo aperto, di confronto, di varia umanità, dove ognuno - sul palco e in platea - è padrone delle proprie opinioni, qualsiasi siano all’ingresso e all’uscita.
Tuttavia... un "tuttavia", ipso facto, è sempre lecito esprimerlo, senza per questo mettere in discussione il valore, la validità, il senso civico, di autori e attori dell’operazione di denuncia. Insomma, nessuno può impedirci un soggettivo e amichevole esercizio di critica strettamente teatrale, anche quando si tratta di uno spettacolo animato da nobilissime intenzioni, come "La nave fantasma" di Giovanni Maria Bellu, Renato Sarti e Bebo Storti, diretto da Sarti e intepretato da lui stesso con il co-autore Storti, andato in scena venerdì 17 marzo al teatro Cuminetti, sotto l’egida di Amnesty International. Un bel sodalizio, un ammirevole affiatamento, almeno a giudicare da come i due two-men-show operano in scena.
Il testo tratta del naufragio di una "carretta del mare", della morte quasi dimenticata di 283 migranti stranieri, nel dicembre 1996, al largo di Portopalo, Sicilia orientale, e di come l’attenzione pubblica e istituzionale, da allora, non abbia prodotto alcuno sforzo apprezzabile per far luce sulla vicenda, per accertare e punire le responsabilità, per restituire alle famiglie dei morti almeno i resti necessari a colmare una tomba, e a celebrare un rito religioso nei rispettivi Paesi d’origine.
Lo spettacolo ha riscosso un gran successo di pubblico e di critica, ha ricevuto premi prestigiosi, ragion per cui potrebbe apparire una pratica inutile e odiosa ricercare il classico pelo nell’uovo... che a nostro parere pur c’è.
Diciamo innanzi tutto che questa rappresentazione ci è apparsa come un rito celebrato in casa propria: il pubblico sembrava essere tutto dalla stessa parte, solidale a priori con finalità e ideologia di fondo. Ha avuto pertanto buon gioco la satira politica, talora pur molto grossolana, clownesca, che i due attori rivendicano esplicitamente come proprio diritto di "prendere per il culo chi piaccia loro", fino al vero e proprio insulto. Peraltro, vi sono sequenze indubbiamente esilaranti, efficaci, come quella in cui si dimostra l’abissale (nessuna ironia) differenza di trattamento usata da mass-media e istituzioni pubbliche nei confronti della contessa Vacca Agusta, scomparsa nel mare di Portofino, e i 283 profughi annegati tra la Sicilia e Malta. Si apprezza la varietà di metodiche comunicative e di abilità interpretative messa in campo dagli attori-autori, convince e diverte il coinvolgimento diretto del pubblico; ma alla fine, dopo quasi tre ore di animatissimo spettacolo, forse non solo a noi, sorge un dubbio: non abbiamo riso un po’ troppo, di fronte ad un tema così tragico, noi che certamente non crediamo di poter essere accusati di insensibilità ai problemi dei migranti? Fanno ridere l’inettitudine, la pochezza, il surrealismo dei politici, ma non si rischia di uscire troppo divertiti da uno spettacolo come questo? Si vuol certamente castigare mores ridendo, ma non vi è un eccesso di esuberanza attoriale, in tutto ciò? Una specie di narcisismo che sottrae spazio alle intenzioni evidentemente nobili e civili dell’operazione?
Questo, ci siamo detti, durante lo spettacolo, quando non ci sentivamo di ridere per gag talora prolisse e, quindi, forse inutili; questo, abbiamo pensato, al termine e poi, a casa, scrivendo queste righe. "L’istruttoria", visto due mesi fa, era qualcosa di completamente diverso. Impossibile una via di mezzo?