Claudio Olivieri e Piero Ruggeri a Brescia
Fino al 26 marzo, due importanti mostre in contemporanea al Castello di Brescia.
E’ da un po’ di anni che si parla di crisi, se non addirittura di morte, della pittura, ma i soprassalti di vita che si sono registrati in questi ultimi cinquant’anni stanno a registrare invece la resistenza alla sparizione portando il tasso lirico ad alzo zero. E’ il caso del Castello di Brescia che fino al 2 marzo ospiterà le esposizioni di Claudio Olivieri e di Piero Ruggeri, due importanti artisti, il primo, milanese d’adozione, teso a percepire la verità non come certezza, ma di volta in volta cangiante, fluida, sfuggente; il secondo, torinese, fortemente segnato dall’esperienza della materia, una spessa e scura materia, lacerata da rossi ora squillanti ora cupi, ferita, redenta.
Terra e aria, quindi, esibite in due ambiti di ricerca che però convergono in una mistica come necessità eterna dello spirito.
L’azzurro di Olivieri (titolo della mostra) è il colore colto ai limiti dell’orizzonte e minimamente variato; il suo spazio è pieno di luce non riflessa ma raccolta. "Tu lo sbagli / non lo prendi / l’adombrarsi dell’azzurro al brivido del canto / quando l’innumerevole amore che ama poi / ha muso acerbo, pupille nere immense, puoi / più vasti uccelli di passo le buchiamo / nel già sapore di rimando..." : da subito nella visita avevo associato gli innumerevoli quadri del nostro artista (troppi, per la verità) a questo bel testo di Maria Cristina Biggio; noi, uccelli di passo, siamo lì a cogliere le differenti sfumature, le trasparenze e le relazioni che questo colore d’adozione intrattiene nella mescolanza. Olivieri marita sensi e cielo: appunto sensuali risultano le silhouettes come schiene femminili, le volute di medaglioni barocchi; in quegli spazi maestosi percorsi a vele spiegate mosse dal vento si percepisce quel sapore di rimando che è come un fumo d’incenso che unifica nella visione il molteplice e l’uno.
Con Ruggeri la pittura si fa apparentemente più materiale, terrosa, grumosa, ma, scavando nei solchi lasciati dal colore che si raggrinza, è possibile l’incontro con piccoli tesori di rosso, battiti segreti che rivelano una energia che sta sotto, che è lava che per sua natura vuol fuoruscire.
Stupendi i lavori realizzati negli ultimi anni Cinquanta dove la sua pittura guarda all’esistenziale sofferenza di un maestro come Caravaggio o alle ombre cupe di un Rembrandt, ma anche un paesaggio innevato porta con sé una pesantezza di esistenze evocate di forte impatto emotivo: l’intensità, poi, dei lavori degli anni Ottanta per Crispolti sono da annoverarsi "fra le proposizioni di pura pittura più memorabili di questi anni".
Vi segnalo inoltre che Brescia è la città che conserva moltissime opere di Romanino che andrebbero viste in loco prima ancora che al Castello del Buonconsiglio (è prevista una grande mostra in estate), e un’opera stratosferica di Tiziano giovane che è la Pala Averoldi in San Nazaro e Celso. Provare per credere.