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Coincidenze?

Una rubrica di dialogo con i lettori.

La mia bambina era nata da un paio d’ore, ero ancora frastornata dal parto e dalla felicità che fosse nata, la desideravo tanto. Ero stata riaccompagnata in sala travaglio dove ero rimasta sola, fino a quando nel letto di fronte al mio hanno ricoverato una signora che aveva già delle doglie dolorose: erano le tre di notte, eravamo nel 1980, in agosto.

Dopo un po’ abbiamo cominciato a chiacchierare; una simpatia immediata, mi sono seduta sul suo letto e ci siamo raccontate un pezzo di vita a testa. Il tempo passava e poi lei si è accorta che purtroppo erano passate anche le doglie. Era dispiaciuta, sapeva di dover ricominciare.

Disegno di Alda Failoni.

Verso le sei di mattina l’ostetrica di turno ha acceso la luce della stanza e invitato la signora ad andare in sala parto: "Alle sette smonto il turno, non voglio che le mie colleghe dicano che lascio lavoro indietro".

- Ma io non ho più contrazioni, si sono fermate ... -

"Dai, dai, signora, che è il secondo figlio, fa’ presto".

E’ andata in sala parto spaventata perché sentiva odore di macello e ha gridato tutto il tempo come una bestia ferita, ma nessuno costringe una bestia a partorire se non è il momento. Non so come abbiano fatto, ma prima delle sette il bambino era nato, così l’ostetrica arrivata dopo non ha trovato lavoro arretrato.

Il giorno seguente in reparto ho cercato quella signora perché ero molto preoccupata per lei. Era in un’altra stanza, a letto, con la flebo attaccata. Non mi ha riconosciuto, le dicevo chi ero, delle ore passate insieme prima di…, poi ho capito che era sedata e il marito mi ha fatto segno che non stava tanto bene. Non l’ho più rivista poi, ma non ho mai dimenticato quell’episodio.

A fine dicembre 2003 mi trovo ricoverata in una stanza dello stesso ospedale per un problema neurologico. Nel letto di fronte arriva una signora per un disturbo analogo al mio. E’ simpatia immediata e socializziamo subito, passiamo le giornate facendo anche qualche risata nonostante il posto.

Dopo un paio di giorni, ho una folgorazione: era la stessa donna che aveva partorito dopo di me, della quale non ricordavo più il nome e che non avevo più rivisto. E’ stato molto emozionante; le ho confermato quel "prima" che aveva dovuto rimuovere, il parto le aveva procurato un grosso trauma e nessuno le aveva creduto, quando diceva che era stato perché l’avevano costretta.

Poi ci siamo definite "sorelle di letto … d’ospedale" e ci sentiamo ogni tanto, da allora.

Strana come storia, vero? Molto "Carramba che sorpresa!".

Qualche nuova riflessione l’ho fatta da allora, qualche domanda me la sono posta, ma non ho trovato risposte sicure.

E’ usuale che succeda di ritrovarsi 23 anni dopo, in una stanza dello stesso ospedale, stessi letti di fronte, con analoghi problemi di salute?

Cosa ci sarà stato nell’aria, nelle stanze, nei letti, quella notte del parto?

Sarebbe impossibile dimostrare un collegamento; non sono malattie contagiose.

Solo coincidenze che nella mia vita sono frequenti e talvolta inquietanti; non so se capita a tutti, sicuramente qualcuno che mi legge potrà dire che accadono, in ogni aspetto della vita.

In tema sentimentale (la mia è senilità, scusate) Milan Kundera fa risalire a sei coincidenze la tormentata storia d’amore di Tomas e Tereza, protagonisti dell’Insostenibile leggerezza dell’essere, regalandoci un’immagine abbagliante: "Se l’amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze, come gli uccelli sulle spalle di Francesco d’Assisi".

Coincidenza è giustificare col caso eventi la cui causa non riusciamo ancora ad individuare?

* * *

Ho letto quello che hai scritto...

E veniamo al colloquio che avevamo preannunciato, con alcune mail che mi sono arrivate dopo la pubblicazione del mio articolo "Io tinta di aria".

"Martedì a scuola avevo udienze, ma dopo due mamme avevo finito, sono sbrigativo. Allora cercavo una rivista e ho visto Questotrentino che non leggevo da molto, una collega mi ha offerto Panorama, ma dico ‘No, ho già preso questo’.

Ho letto qualche articolo, poi ho visto una bella faccia pulita, sai, quelle facce anni Settanta di pubblicità delle vitamine, tipo Jane Fonda ai suoi tempi, cosi mi sembrava, una faccia americana: ma, dico, su QT?

Ho letto quello che hai scritto, poi il cognome, il nome, da dove deriva, ho trovato similitudini col mio: mia mamma aveva un moroso poi morto in guerra che si chiamava come mi ha chiamato poi.

Non sembri neanche trentina, non ho mai visto un viso trentino come il tuo, di solito sono anche belle persone, ma come dire, un po’ appannate, sei fuori dal solito‘tei ti toi stente fente safente’.

Non so niente di te, delle tue cose, ma mi piace pensare ai tuoi pensieri, perchè sai, vedo QT e immagino come dovrebbe essere stata la foto di chi ci scrive: maglione etnico peruviano fatto a mano, treccione lunghe alla Pippi Calzelunghe, poster del Che sul muro alle spalle, divano con cuscini all’uncinetto fatti in casa, collana con pietre e corda grezza…

E invece che ci vedo? Elegante, con filo di perle, morbidamente appoggiata sul divano, e la cosa bella di te è che devi per forza avere queste due anime: rivoluzionaria (ganzi gli anarchici con la fiaccola, no?) e nello stesso tempo nice charming.

Poi mi sei simpatica anche perché hai Virgilio come me, ho visto tutti con questi "hotmail", ho scoperto da poco che è microsoft, pensa, credevo prima che da "hot-caldo" fosse posta erotica: sarò mona!

Mi ha fatto compagnia scriverti. Senti, ma il poster del Che una che scrive suQT lo deve avere e mi piace pensare che tu ce l’abbia. Pensa che su Radiotre, che ascolto sempre in macchina, hanno fatto una mezz’ora sul Che e mi sono quasi commosso.

Anche se non rispondi, mi piacerebbe facessi l’anagramma del mio nome e cognome; sono negato per questo, ma forse nell’anagramma c’è qualcosa di noi, non so. Allora, se mi vuoi fare un regalo, le lettere sono‘aaocliviu’: breve, mio padre voleva un nome corto.

Ciao, abbraccio la tua mente, mi pare libera come tutte dovrebbero (e non lo sono) essere.

L. C., Rovereto

Dopo essere affogata in mezzo alle vocali, ho trovato un anagramma dignitoso: ali a cui vo. Ti riconosci?
Non porto più i maglioni peruviani perché pizzicano, ma nel mio studio, da anni, ho sempre appeso il calendario del Che.

* * *

Coinvolgimenti

Ho letto il tuo articolo e volevo dirti che mi piacciono le persone non solo impegnate ma che si coinvolgono come te. Mi hai ricordato il giornale che pubblichiamo in Francia dal 1993. Ho fatto parte del comitato di redazione fino al ’98, quando mi sono trasferito in Italia e vi ho scritto parecchi articoli. Si chiama ‘Implications’, ‘Coinvolgimenti’ in italiano. La linea redazionale di questo giornale è che chi ci scrive, lo fa sempre in prima persona, anche se scrive un articolo a carattere scientifico. Ecco perché mi è piaciuto il tono personale del tuo articolo.

Grazie di osare parlare delle tue emozioni e dei tuoi sentimenti. Questo ci arricchisce tutti e mi ha dato voglia di conoscere questo giornale,Questotrentino, di cui non avevo sentito parlare prima. Hai ragione a parlare di ‘uno scrivere terapeutico, liberatorio e educativo per chi lo fa e per chi lo legge: le esperienze degli altri aiutano sempre’. Questo è uno dei motivi per i quali tengo corsi sullo scrivere da quasi vent’anni e ci sarebbe molto da dire sul fatto che dovremmo abituarci a parlare di noi, ad interessarci agli altri, a comunicare…

Dici che la tua‘indisposizione’, come la chiami pudicamente, ti ha tolto e ti ha dato. Non ti ho conosciuto prima, ma vedo la tua bellezza fisica e intravedo la tua bellezza interiore man mano che la sveli".

Thierry Bonfanti, Trento

Grazie Thierry, un brindisi al pensiero libero.

* * *

La faccenda dell'anagramma

Il tuo articolo mi ha colpito tanto. Ma non solo perché, anche se non posso dire di conoscerti, so chi sei. Mi avrebbe colpito comunque, anche se fosse stata una sconosciuta che scriveva quello che hai scritto.

Mettersi a nudo, esporsi così come hai fatto tu è indice di maturità: sei riuscita a farlo con leggerezza e profondità. Continua a scrivere, continua a comunicare. Credo che faccia bene a te e sicuramente fa bene a chi ti legge. Aiuta a volte a capirci, a fermarci a riflettere, comunque è una finestra che si apre, magari la richiudiamo in fretta perché guardarci dentro non è sempre facile, ma la finestra si è aperta e di questo si è consapevoli.

Mi ha incuriosita la faccenda dell’anagramma. Ho provato a farlo anche con il mio nome. Quello che mi ha più colpita è:‘ferma andasti’, che è sia staticità che dinamismo: quello che sono"

Marisa Defant, Terlago

Spesso gli anagrammi dicono qualcosa di noi, un altro punto di vista. Alcuni sono famosi e incredibili:

Giulio Andreotti: un gelido Totò Riina.

Rocco Buttiglione: un clerico bigotto.

Silvio Berlusconi: il visino burlesco.

Ignazio La Russa: l’asso in arguzia.

Carol Voitila: l’alto vicario.

Pietro Nenni: non è Pertini.

Democrazia cristiana: azienda camorristica.

Roberto Benigni: integro birbone.

Francesca Neri: in carne fresca.

Poi eccone due appena fatti che sono farina del mio sacco. Ettore Paris: T’apre tesori (intellettuali?), e un altro che forse mi costerà la collaborazione al giornale: Sior Peretta. Ovviamente intendendo che "provoca inquietudini ad intestini politicamente sensibili".