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I Pacs e il Comune di Trento

Lucia Coppola

Lapprovazione in Consiglio Comunale a Trento dell’ordine del giorno sul registro delle coppie di fatto, ci ha obbligato ad alcune riflessioni che dovrebbero prescindere dalle appartenenze, dalle ideologie ed anche dalla propria personale condizione, per guardare ai fatti e ai diritti dei cittadini. Questo non è certo avvenuto nel dibattito scomposto che ha preceduto e caratterizzato la discussione, portato avanti da chi ha colto l’occasione per discriminare, offendere e marchiare a fuoco i gay e le lesbiche, negando loro la dignità di persone e il rispetto. Penso che quelle affermazioni volgari vadano stigmatizzate proprio perché pronunciate da persone con cariche istituzionali che dovrebbero avere anche una funzione educativa e di indirizzo nei confronti dei cittadini, e il compito di elevare il grado di comprensione e di tolleranza che deve caratterizzare ogni comunità civile. Ma, per tornare ai Pacs, indubbiamente, ben oltre il polverone mediatico sollevato e le vesti stracciate di coloro che si arrogano il diritto di rappresentare i più intimi intendimenti dell’intero genere umano, si tratta di questioni complesse, e proprio per questo bisognose di essere articolate in nome di quella flessibilità che sembra essere il valore aggiunto di questa triste stagione politica.

Gli intenti contenuti nelle proposte pattizie dei vari partiti, pur con le dovute differenze, vanno nella direzione di regolare in modo civile le unioni non tradizionali, dal momento che queste hanno acquistato nel tempo dimensioni socialmente significative, in una società sempre più pluralista che richiede garanzie giuridiche e di tutela, perché riguarda comunque cittadini e cittadine che a pieno titolo fanno parte del consesso civile.

Sono in realtà diritti "semplici"che anche il semplice buon senso o l’ umanità che sempre dovrebbe regolare le relazioni darebbero per acquisiti. A quante persone, per esempio, viene negato il diritto di assistere il proprio partner, dopo una vita vissuta insieme, e quante vengono escluse da ogni decisione quando quest’ultimo, alla fine della sua vita, è incapace di agire in prima persona? Quante sono escluse dall’eredità di beni magari condivisi e costruiti insieme, mentre gli eventuali lasciti vengono goduti, in assenza di una normativa, da perfetti sconosciuti? E a volte la scelta di non sposarsi è una non scelta, si pensi solo agli omosessuali, che come tutti gli essere umani non hanno deciso il loro orientamento sessuale, o a coppie eterosessuali che per qualche impedimento o per libera e legittima scelta non hanno "regolarizzato" la loro posizione. Vi sono convivenze stabili e pluridecennali nelle quali si pratica il rispetto e la solidarietà molto più che in tanti matrimoni. Va detto peraltro che la proposta contenuta nell’ordine del giorno sul registro delle coppie di fatto non è ancora lo strumento più utile ai cittadini e alle cittadine per perseguire la piena parità dei diritti, l’uguaglianza formale e la piena dignità sociale. Ci vorranno altri e più decisivi interventi legislativi a livello nazionale che ci avvicinino a quelli già ampiamente acquisiti in Europa. E’ però un gesto simbolico di rispetto e considerazione che la nostra amministrazione comunale ha fatto suo, consentendo a tutte le persone che lo desiderino di dichiarare la propria libera scelta di vita insieme al desiderio legittimo di usufruire di garanzie e tutele. E’ una manovra di avvicinamento verso una forma più alta di convivenza civile che non toglie niente a nessuno: né il significato profondo che in molti attribuiscono alla famiglia tradizionale, né la possibilità di formarne una nei modi più consoni e aderenti al proprio personale sentire. E’ dunque una scelta di libertà che rispecchia comunque le esigenze e i bisogni che caratterizzano questo nostro tempo. I diritti e l’autonomia delle famiglie regolari non sarebbero certo sfiorati nel riconoscere altre forme di convivenza pure familiari. Ormai dottrina e giurisprudenza cominciano a riconoscere anche le famiglie di fatto come luoghi affettivi e di sicurezza, di mutuo sostegno e di solidarietà, di reciprocità e condivisione; dove il fine ultimo è la libera espressione dell’individuo, della sua personalità, in relazione a qualcun’ altro di molto vicino.

Ed è altrettanto chiaro come la stessa Chiesa, pur avendo nuovamente negato il perdono e il sacramento della comunione ai divorziati, abbia notevolmente potenziato e allargato le maglie che consentono ai credenti, meglio se benestanti e di buona famiglia, di accedere all’istituto della Sacra Rota, come confermano i dati emersi da recenti e attendibili ricerche. Infatti pare che la gamma di ragioni che possono portare all’annullamento del matrimonio sia davvero ampia. Non più solo motivi legati alla sessualità, mancante, problematica, ora si prendono in considerazione anche problemi psicologici, incapacità di un coniuge di assumersi impegni, difficoltà di vario genere. L’onorario dell’avvocato rotale? Dai 1400 ai 2500 euro, le parcelle di un buon avvocato divorzista civile. E per i meno abbienti c’è il difensore d’ufficio.

Insomma, tutto è molto relativo a quanto pare.

Sarebbe anche molto interessante riflettere sulla tipologia delle nostre famiglie, che non sempre rispecchiano quella del Mulino Bianco, ormai scomparsa anche dalla pubblicità.

Ci sono le coabitazioni forzate di giovani che da soli non sono in grado di vivere per motivi economici, miriadi di coppie senza figli, famiglie con un solo genitore, che per il 90% è una madre; vedovanze, separazioni e divorzi falcidiano questa idea di famiglia perfetta a cui tutti, indiscriminatamente, tendiamo, ma che spesso non accade. E famiglie ricostituite, con figli nati dai precedenti e nuovi matrimoni. Famiglie ristrette di single per caso o per scelta e allargate, di tutti coloro che riprendono in mano la propria vita nella speranza che vada meglio. Figli costretti in età adulta a convivere coi genitori a causa del precariato e dell’insicurezza sociale, in famiglie stremate dalla preoccupazione e da una convivenza forzata. C’è la pura condivisione di spazi o la crescita di importanti relazioni umane, fuori dalle regole, ma dentro questo spazio di vita in cui tutti ci affanniamo cercando di trovare un modalità dignitosa e accettabile nel vivere la nostra vita.

Questa molteplicità di tipologie familiari, casuali o intenzionali che siano, più o meno "belle" e "giuste", più o meno felici e garantite, sono in realtà i tanti modi con cui ciascuno di noi tenta di organizzare la propria vita, sono la constatazione della varietà e della diversità con cui la nostra popolazione si muove e si organizza. Ecco perché già nel 1970 la Conferenza della Casa Bianca sui Bambini ammetteva che non era più possibile tentare di dare una definizione di famiglia univoca, comprensiva di tutti e di tutte, ribadendo la cosiddetta "variant family forms". Era il 1970, ripeto.

Dubito fortemente che questa normalità così sbandierata e ricercata sia la forma più diffusa o l’unica degna di essere tutelata e garantita, ed ecco perché un buon amministratore ed una città consapevole, comprensiva ed inclusiva non possono che muoversi nella direzione del rispetto per le scelte di tutti, tutte.

Condivido quanto afferma la sociologa Chiara Saraceno: "L’intera vicenda familiare può e chiede di venire letta nella chiave multidimensionale del tempo: rispetto al tempo storico, rispetto alla collocazione nei vari tempi sociali, rispetto al tempo della vita di ciascuno e a quello dei rapporti tra generazioni, così come rispetto al tempo della memoria e della tradizione: tramite il quale una famiglia non solo si distingue nettamente da tutte le altre, ma diviene parte inestricabile di coloro che la fanno e la vivono".

Questo è il senso e il significato dei patti civili di solidarietà: il rispetto delle scelte di ciascuno e di tutte le famiglie possibili.