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Scultura Italiana 1950-2000: Guido Strazza incisore

Le opere di importanti maestri e le incisioni di Strazza alla Basilica Palladiana di Vicenza fino al 24 luglio.

Avevo deciso di non presentare gli scultori più conosciuti del secondo Novecento selezionando gli esiti più poetici della mostra alla Basilica Palladiana di Vicenza, ma il Paolo VI di Floriano Bodini, negli elementi di una lacerazione interiore sconfinata di un papa ed esatta e manichea controimmagine del caterpillar Ratzinger, ha continuato a tormentarmi dopo l’insuccesso referendario, tanto da sceglierlo come icona che apre la nostra riflessione sugli ultimi cinquant’anni di scultura italiana.

E continuo lamentando l’assenza di due artisti straordinari come Leoncillo e Viani, della stagione degli impasti informali ed emozionali del primo e della purezza formale ma inquieta del "Torso virile" o del "Nudo femminile" del 1976 del secondo. L’influenza delle "plastiche" di Burri è avvertibile nelle composizioni di Giò Pomodoro, nel "fluire simultaneo in ogni direzione" della "Folla" del 1961, come, attraverso il fuoco della fiamma ossidrica, il "Ferro spezzato" di Giuseppe Spagnulo, ricerca di nuove morfologie e di tensioni della materia.

L’umanità ridotta a sagoma e un senso straordinario dello spazio dove domina incontrastato "Il vento", opera del 1991, rendono Mario Ceroli l’artista più vicino alle ricerche di Leonardo intorno alla leggerezza e al volo. E poi Fontana, Arnaldo Pomodoro , Melotti, le elegantissime geometrie di Giuseppe Uncini, la costruzione delle illusioni in Mauro Stacciali…

Ma la vera sorpresa sta nelle sale del LAMeC nel piano basso della Basilica del Palladio, dove sculpsit lastre per incisioni Guido Strazza, esperto di scienze recondite, che viaggia per spazi siderali inseguendo geometrie del desiderio, segreti graffiti su un muro, segni e traiettorie della pioggia, insomma quanto di più naturale ci sia dato vedere trasfigurato dal suo personalissimo esprit de géometrie.

Lo stesso Strazza, nel riferirsi alle sue opere grafiche, sorta di diario di passeggiate romane sulle vie del sacro e del profano, diceva di "aver scoperto quasi allarmato che i suoi segni erano gli stessi del campo visivo abituale", delle prospettive multiple del suo sentire segnico. Quadrati, rombi tipici del pavimento cosmatesco delle basiliche romane, fili del tram, segni neri e bianchi, nella vastità della gamma cromatica indagata dall’artista intorno a questi due colori, diventano altrettante onde di luce. Già nel 1946 a ventiquattro anni con il suo "Gatto morto" impigliato in una ragnatela di figure geometriche irregolari Strazza ci rivelerà la sua vera poetica dopo una partenza futurista: ingegnere, andrà in Perù a fare il rilevatore topografico. Le "compenetrazioni" degli anni ‘50 nel recupero della linea curva sembra dialoghino a distanza con le quadrettature di Klee e i Sacchi di Burri o le opere degli stessi anni di Gastone Novelli in Brasile, che ritorneranno più tardi nei gesti e segni romani.

Mostra raffinatissima per palati fini.

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