Un bel “Pavanello” in un Sociale semivuoto
Il Premio per giovani cantautori mostra una grande musica, e così gli ospiti Tetes de Bois. Peccato che il pubblico fosse altrove.
Una serata di grande musica per pochi intimi. A dispetto della sua diciannovesima edizione, di otto finalisti di ottimo livello e di un gruppo di assoluto valore come i Tetes de Bois quale ospite in concerto, il Premio Paolo Pavanello è stato snobbato dal pubblico trentino. Un vero peccato vedere il teatro Sociale quasi completamente vuoto a pochi minuti dall’inizio: non basta certo attendere il quarto d’ora accademico per farlo riempire e così comincia la gara.
Tocca al modenese Ugo Ferrari e ai suoi "Humus" rompere il ghiaccio con due brani davvero convincenti come "Oggi" e "Cenere nel vento", che rivelano una voce che richiama Capossela e un ottimo impasto musicale che rievoca malinconie perse in locali di periferia.
Si cambia registro con Francesca Dragoni, giovane cantautrice ternana di bella presenza che, assieme al suo gruppo "Petramante", propone due brani dalle sonorità più rock come "Distillami" e "La finestra", che colpiscono per la felice vena compositiva.
Caratteristica di questa edizione è la presenza massiccia dei gruppi: ben 7 cantautori su 8 si presentano accompagnati dalla propria band, con l’eccezione del torinese Roberto Cavalcante: il più giovane con i suoi vent’anni e il più tradizionale in versione chitarra acustica ed armonica a bocca.
La giuria premia i romani "Pane" e il suo front-man Claudio Orlandi, che hanno proposto le sonorità più innovative e spiazzanti della serata, spaziando dal progressive-rock al teatro canzone.
Dal punto di vista musicale, la vittoria non fa una grinza, anche se i "Pane" appartengono a quel genere di artisti che si amano o si odiano senza vie di mezzo.
Il riconoscimento per la miglior esibizione dal vivo va agli "Aurelia 520", la band lariana capitanata dalla minuta ma grintosissima Marisa Perrelli, che hanno proposto i due brani più abrasivi della serata.
Da applausi anche l’esibizione del trentino Francesco Dal Corso, alla sua seconda partecipazione, che assieme ai "Tre Verticale" ha dato un saggio di come si può fare del rock dolente e inquieto supportato da testi niente affatto banali.
I romani Tetes de Bois si sono presentati sul palco alle 23.30 passate, ma nell’ora abbondante di concerto hanno davvero stupito per intensità, bravura e levatura artistica. "Sono chi sai" apre la performance, e la voce roca di Andrea Satta che canta Ferrè mette i brividi: purtroppo rimarrà l’unico pezzo dall’album "Ferrè l’amore e la rivolta" con il quale i Tetes de Bois hanno reso omaggio come meglio non avrebbero potuto al grande chansonnier francese misconosciuto in Italia. I Tetes de Bois dal vivo dimostrano grande affiatamento, abituati come sono ad esibirsi nei contesti più disparati, e snocciolano i brani dell’ultimo album ("Pace e male") condendoli con gustosi siparietti di presentazione, come nel caso delle ironiche "Le rane" e "Dott. De Rossi". Come i grandi artisti sanno passare con disinvoltura dal registro ironico e scanzonato a quello più profondo e struggente: in questa direzione vanno le toccanti "Tute", che sa raccontare con delicatezza una storia d’amore in manicomio, e la splendida "Ce l’ho con l’amore", che mette in musica le poesie dell’ex calciatore Ezio Vendrame. "La canzone del ciclista", poi, è un autentico gioiello, che nell’immagine epica del gregario scolpisce una splendida metafora della vita.
Peccato davvero che un concerto simile sia stato appannaggio di pochi intimi e che una manifestazione come il Pavanello abbia così poco ascendente sul pubblico dei non addetti ai lavori.