Stranieri in Trentino
Ormai sono oltre 20.000; e il problema più difficile è sempre lo stesso: la casa.
Passando dal quartiere di San Martino a Trento, si nota come siano bastati pochi anni per modificare la geografia umana dei suoi abitanti. La comunità più appariscente è senza dubbio quella musulmana: molte tuniche bianche e qualche donna con il velo, un negozio di generi alimentari etnici, una macelleria con carne islamica, una specie di "pronto pizza" che vende kebab. Nella strada parallela troviamo un ristorante cinese con vicino un negozietto dove vendono abiti tipici. Dei giovani africani, che si stanno allenando per qualche gara di corsa, passano correndo con lunghe falcate.
Un mondo variopinto che sembra aver trovato accordi interni per vivere in armonia, anche se in realtà sappiamo come, nel processo d’integrazione degli immigrati, il problema che scatena maggiori conflitti riguarda proprio l’abitazione.
La casa significa, infatti, la possibilità di richiamare la famiglia, ma anche di avere un luogo di visibilità sociale riconosciuto. Proprio la storia dell’emigrazione ci insegna che questo bisogno è stato affrontato in passato con case a buon mercato, magari di bassa qualità, o con edifici di prima accoglienza, ad esempio i tenements di New York. In Svizzera e in Belgio i nostri emigranti erano sistemati addirittura nelle baracche degli ex campi di prigionia.
Messaud ha 28 anni, è nato in una tenda nel deserto della Tunisia, la sua famiglia è beduina, nomade fino alla scorsa generazione. Si trova in Trentino da un anno, ha fatto il carpentiere e il manovale, adesso è nell’attesa di un lavoro ed è ospite, abusivo, di un altro tunisino. Condividono una piccola stanza, con gabinetto, in un edificio fatiscente, pagando 200 euro a testa. Fa molta fatica ad integrarsi nella realtà locale; è stato costretto ad emigrare perché i giovani lì non hanno nessuna speranza di lavoro, ma qui è obbligato a confrontarsi con i problemi d’emarginazione, tossicodipendenza, alcolismo e disagio mentale che stanno aumentando fra gli immigrati. E’ abituato al deserto, ma non può comprendere l’isolamento della sua nuova esistenza affollata.
Stella è moldava, ha 37 anni, fa la badante di un’anziana signora trentina e vive nella sua casa da quasi due anni; anche lei è stata costretta ad emigrare perché da loro il lavoro è poco e mal retribuito e spera di trovare un’abitazione autonoma per farsi raggiungere dalla famiglia. Ha lasciato marito e tre figli in patria (il più piccolo ha cinque anni) e non li vede da quando è partita. Ripensando al trauma dell’abbandono, che la psicologia ci spiega molto bene, viene naturale sperare che in qualche caso sia ammessa un’eccezione.
Gli stranieri residenti in Trentino sono circa 23.500 e le politiche pubbliche per affrontare l’emergenza abitativa sono regolate dalla legge n. 21 che assegna alloggi ITEA, con due graduatorie distinte, una per gli italiani e una per gli immigrati; nel 2003, a fronte di 670 domande, sono stati assegnati 42 appartamenti. Una seconda linea d’intervento è rappresentata dall’integrazione del canone di locazione, un contributo comunale a favore d’inquilini in possesso dei requisiti previsti, con lo scopo di abbattere i costi di locazione e che, nella città di Trento, ha visto accolte tutte le 188 domande presentate nel 2004. Un altro intervento riguarda l’edilizia abitativa agevolata: nel 2003 sono state presentate 415 domande d’acquisto immobile, accolte per il 42%; l’anno prima le domande non arrivavano a 100, segnalando un fenomeno in crescita.
Le risposte pubbliche al bisogno di casa sono in ogni caso insufficienti e vedono le associazioni cattoliche di volontariato(vedi, nella pagina a fianco, la scheda sull’ATAS)offrire agli immigrati altre possibilità.
Antonio Rapanà, responsabile dell’Ufficio Immigrati della CGIL, ci ha spiegato che "una prima grossa difficoltà per i cittadini stranieri è rappresentata dal dover esibire una dichiarazione di alloggio, da parte del proprietario di casa, per ottenere il permesso di soggiorno. Molti di loro sono ospitati da altri immigrati, a loro volta in affitto, ed ottenere dal padrone di casa una simile dichiarazione appare impossibile, considerata la tendenza generale che vorrebbe gli extracomunitari ‘invisibili’". A proposito di quest’invisibilità, Rapanà rileva come i clandestini presenti in Trentino siano stimabili attorno ai 2.500. Immigrati che, una volta arrivati da noi, non trovano strutture di pronta accoglienza ed hanno solo due possibilità: dimorare in alloggi fatiscenti e malsani o rivolgersi al mercato libero con prezzi troppo alti, sostenibili per una persona singola che, assieme ad altri, affitta una casa dividendosi la spesa, ma insostenibili per una famiglia monoreddito.
"L’arrivo delle famiglie - ci spiega Rapanà - costituisce un momento essenziale nel processo d’integrazione e gli interventi pubblici devono rivolgere attenzione proprio a questa necessità, si tratta di famiglie numerose spesso costrette a lasciare uno o più figli nel paese d’origine".
Senza dubbio a livello provinciale qualcosa si è mosso: dopo le vergognose code d’immigrati davanti alla Questura, nel 2002 è stato creato dall’assessorato alle Politiche Sociali il CINFORMI (Centro Informativo per l’immigrazione), che ha lo scopo di informare sulle modalità d’ingresso e soggiorno in Italia. Dal 2004 presso il Cinformi è attivo lo sportello di "Patto Casa", associazione di vari enti pubblici, creata per aiutare gli immigrati ad affrontare il problema della casa; un’iniziativa che però non riesce a decollare.
Gli spunti di riflessione sull’immigrazione devono tenere conto anche delle diverse realtà dovute alla nazionalità. Adesso l’Europa dell’Est ha preso il sopravvento sul Maghreb: la nazione più rappresentata è infatti la Romania, che ha sostituito il Marocco. Non a caso i cittadini dell’est sono meglio accettati rispetto ai maghrebini, a dimostrazione del fatto che la popolazione locale è più diffidente rispetto a culture e religioni distanti. Persistono infatti forme di intolleranza nei confronti dei cittadini nordafricani, ritenuti il gruppo che crea maggiori problemi sociali.
La parte femminile riguarda oltre il 47% degli immigrati, ed anche qui si rileva una differenza sostanziale tra le varie aree geografiche rappresentate: le donne dell’est hanno maggiore autonomia ed in molti casi vengono in Italia da sole (è il caso delle badanti), lasciando nel loro paese la famiglia, per poi farla arrivare in un secondo tempo. Le donne maghrebine, invece, raggiungono solo in seguito i famigliari che hanno già trovato lavoro. Un caso a parte è rappresentato dalla comunità cinese che, rispetto ad altri gruppi d’immigrati, possiede autonomia e strategie efficaci per inserirsi nella nostra società, avviando proficue attività commerciali.
Oltre quarant’anni fa il grande intellettuale svizzero Max Frisch disse degli immigrati italiani: "Avevamo richiesto manodopera, sono arrivati degli esseri umani".
Adesso tocca a noi dimostrare che non abbiamo dimenticato.