Centri di Permanenza Temporanea: lettera aperta a Dellai
Come certamente Lei saprà, signor Presidente, l’11 luglio, a Bari, si terrà il Forum nazionale per la chiusura dei Centri di Permanenza Temporanea (CPT), che vedrà la presenza di un vasto fronte di associazioni in rappresentanza della società civile, ma anche delle istituzioni. E’ un appuntamento importante perché, a partire dalla chiusura dei centri in cui sono detenuti cittadini stranieri che non hanno commesso alcun reato, si punta ad elaborare orientamenti per una politica dell’immigrazione, ispirata ai valori della nostra democrazia. La distanza tra tutela dei diritti fondamentali e posizione dello straniero è ormai così grande che l’appuntamento di Bari assume significato forte anche per la difesa della nostra Costituzione: perché a chi è trattenuto in un Cpt la Costituzione non è applicata.
L’immigrazione è fenomeno complesso, ma vi sono alcune cose semplici da capire. Le capiscono, ad esempio, gli italiani che cercano di assumere dall’estero una donna dell’Est per assistere il familiare anziano o l’imprenditore edile che ha bisogno di manovali. E’ facile capire, insomma, che l’immigrazione è oggi essenzialmente un’immigrazione per lavoro a bassa qualificazione, di cui il nostro mercato ha bisogno. Ma in Italia non si è potuto e, in particolare, negli ultimi anni non si può entrare regolarmente, se non con estrema difficoltà. Le quote di ingresso per lavoro non stagionale sono insufficienti e il meccanismo orientato alla chiamata di un lavoratore straniero che non si è mai conosciuto è impraticabile. Sono situazioni ben conosciute dalle centinaia di famiglie trentine che si rivolgono ai nostri uffici per chiedere: "Cosa si deve fare per regolarizzare la badante che fa assistenza nella nostra famiglia e che è tanto brava?". Questo spiega l’enorme numero di clandestini: trovando chiusa la porta dell’ingresso regolare, molti lavoratori, richiamati dalla forte domanda di lavoro di alcuni settori produttivi, sono arrivati come hanno potuto, entrando dalla porta di servizio dell’ingresso irregolare. Nella stragrande maggioranza dei casi, per lavorare, anche in condizioni vergognose di sfruttamento, attendendo una delle periodiche, inevitabili sanatorie per recuperare condizioni di legalità e di dignità. Ed hanno potuto regolarizzarsi perché, anche se privi del permesso di soggiorno, già lavoravano, per forza di cose in nero, ed avevano un datore di lavoro disponibile a presentare la domanda di regolarizzazione.
Le sanatorie sono diventate così il necessario rimedio alle fallimentari politiche dell’immigrazione di tutti i governi, anche di quello di centro destra, costretto dalla realtà alla più grande sanatoria della storia dell’immigrazione in Italia. Come vede, sig. Presidente, è infondata la convinzione tanto diffusa e cavalcata dagli imprenditori politici dell’intolleranza, che esistano immigrati regolari, ben integrati e meritevoli dei benefici della nostra democrazia, e clandestini da reprimere perché devianti. Perfino il ministro Pisanu ha dovuto riconoscere l’infondatezza dell’equazione tra clandestinità e criminalità. La stragrande maggioranza dei cittadini stranieri che vivono e lavorano regolarmente in Italia, contribuendo a produrre sviluppo e ricchezza per tutti e rispettando le leggi, hanno alla spalle questa storia: brutti e cattivissimi come clandestini, sono diventati, poi, buonissimi ed utilissimi lavoratori solo grazie ai provvedimenti di sanatoria.
Clandestini non si nasce, si diventa, così come da clandestini si diventa regolari; e da regolari si rischia sempre di precipitare nuovamente nell’irregolarità. Non va dimenticato, infatti, che tra gli attuali irregolari ci sono anche migliaia di persone che hanno perso il permesso di soggiorno, a causa delle norme troppo restrittive e delle difficoltà burocratiche. Perché non i clandestini, ma l’intero universo dei cittadini immigrati è sempre esposto al rischio di perdere ogni diritto, perpetuamente in bilico sul confine dell’esclusione, in una affannosa corsa ad ostacoli sempre minacciata da nuove restrizioni. Così, come non bastasse l’aver legato la durata del permesso di soggiorno a quella del contratto di lavoro, in un mercato del lavoro segnato dalla angoscia della precarietà, ora, il nuovo regolamento impone che, per stipulare un contratto, il lavoratore straniero disponga di un alloggio "idoneo", secondo i parametri dell’edilizia residenziale pubblica. Si delineano così minacciosi nuovi pericoli di rientrare nell’irregolarità: se non ha un alloggio idoneo, che nessuno offre a chi è senza occupazione, non può firmare un contratto di lavoro; se non ha un contratto di lavoro, perde il diritto al permesso di soggiorno, e riprecipita nella clandestinità. Anche dopo molti anni il cittadino immigrato rischia, insomma, l’espulsione o perfino la detenzione nei CPT.
Già, i Centri di Permanenza Temporanea: istituiti dalla legge "Turco-Napolitano", questo strumento di repressione è stato perfezionato dalla "Bossi-Fini". E’ un istituto giuridico inedito per il nostro ordinamento e, a parere di molti giuristi, incostituzionale: in questi centri, infatti, sono trattenuti e quindi privati della libertà personale cittadini che non hanno commesso alcun reato, ma semplici irregolarità amministrative: e tale, anche secondo la nuova legge per l’immigrazione, è l’ingresso non autorizzato.Si chiamano centri di permanenza temporanea, con una definizione ambigua, utile solo a nascondere la realtà: perché, nel nostro ordinamento, questo istituto - la "permanenza"- non esiste, non è un caso previsto dalla legge. Al di là dei contorsionismi linguistici, questi centri di "permanenza temporanea" per clandestini non sono altro che campi di detenzione, prigioni in assenza di reato, di processo e di condanna, in contrasto con i principi e le garanzie scritte nella Costituzione: per certi aspetti strutture perfino peggiori di quelle carcerarie perché, per esempio, a giornalisti e servizi sociali non è consentito accedervi. Edifici inadeguati, scarsi contatti con il servizio sanitario, insufficiente assistenza legale e psicologica, abuso nella somministrazione di psicofarmaci, eccessi negli interventi delle forze dell’ordine e degli operatori: queste sono le principali violazioni denunciate da associazioni italiane ed internazionali, da sindacati, anche da quelli di polizia, e da rappresentanti delle istituzioni e della Chiesa; e la stessa magistratura ha avviato azioni penali per lesione dei diritti umani e della dignità delle persone ed anche contro situazioni di brutale violenza.
Si tratta di realtà che esprimono il fallimento di una politica che ritiene di governare la realtà complessa dell’immigrazione con le espulsioni, con la repressione, con la limitazione dei diritti. Per questo riteniamo importante prendere posizione sui temi dell’appuntamento di Bari: per avviare una politica dell’immigrazione davvero capace di costruire una convivenza nella parità dei diritti e dei doveri di tutte le persone.
I cittadini immigrati chiedono di non essere solo merce da sfruttare, di non essere esclusi dalla dignità e dalla libertà di tutti i cittadini. Queste aspirazioni, antiche e moderne, espresse oggi dagli uomini e dalle donne dell’immigrazione, ancora una volta sono storia nostra: non una questione separata e quasi privata che riguarda i soli cittadini stranieri ai quali comunicare tutt’al più una pur generosa solidarietà.
Qualche tempo addietro Lei, signor Presidente, espresse la necessità di andare oltre la legge "Bossi-Fini": un pronunciamento impegnativo che abbiamo apprezzato. A Bari un ampio fronte delle istituzioni e della società civile si ritrova proprio per dare concretezza a questo impegno. Per questo sarebbe importante che a Bari fosse presente anche Lei, signor Presidente, in rappresentanza delle tradizioni di tolleranza e di democrazia della comunità trentina.
Antonio Rapanà,
responsabile Coordinamento Lavoratori Immigrati della CGIL