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QT n. 22, 24 dicembre 2004 Servizi

Università a San Michele? “Per noi irrilevante”

Intervista al rettore Davide Bassi: la proposta - “più razionale” - dell’Università, e quella - “da non demonizzare” - della Provincia.

“La ‘ridicola’ università del Governatore" titolavamo un paio di settimane fa il progetto di Dellai di una seconda università trentina, a S. Michele per dare uno sbocco di livello all’Istituto Agrario. La proposta è stata sbeffeggiata: giudicata un’operazione velleitaria e costosa e negativa per l’Università vera, quella di Trento, che fatalmente si vedrebbe ridotti i fondi per lanciare il nuovo Ateneo.

San Michele all'Adige.

Abbiamo cercato di approfondire: quali sono le motivazioni che hanno portato il presidente della Provincia a lanciare un progetto così azzardato?

La risposta ufficiale è presa sul serio da pochi. L’Istituto Agrario di S. Michele, uno dei centri europei più prestigiosi fin dal secolo scorso per lo studio della vitieneologia, merita in effetti una maggiore valorizzazione: sia per l’importanza acquisita in questi anni dal comparto in Trentino, sia per la centralità che i temi dell’agroalimentare, e più in generale dell’ambiente, avranno negli scenari futuri. Detto questo, non si capisce la scelta di una nuova Università, quando - come approfondiamo nell’intervista che segue - il rettore Davide Bassi ha proposto una strada, la Scuola Interfacoltà molto più logica ed economica, e all’interno dello sviluppo dell’Università di Trento.

Una cosa è chiara: una seconda Università significa una serie di oneri aggiuntivi (rettorato, consiglio di amministrazione, struttura amministrativa) che solo in parte possono essere fatti ricadere sull’attuale struttura di San Michele. Ma soprattutto implica la capacità di attrarre, e pagare, professori e studiosi all’altezza. Ora, la storia di tutte le nuove piccole università, e Trento e Bolzano non hanno fatto eccezione, è una storia di avvii stentati: i professori più quotati disdegnano una sede periferica, dove non si possono allacciare relazioni significative. Se vengono lo fanno perché i soldi sono tanti (vedi, bisogna pur dirlo, Bolzano) e nell’ottica del mordi e fuggi: fai la lezione, prendi i soldi e vai.

Certo, insegnare a S. Michele potrebbe voler dire rapportarsi col mondo accademico di Trento, che oggi ha il suo prestigio. Ma ciò accadrebbe solo se i rapporti tra i due centri fossero positivi. Se invece ci fosse concorrenza tra figli piccoli e vezzeggiati da mamma Provincia, e figliastri grandi ma torteggiati, non si andrebbe lontano.

"La mia generazione di docenti trasferitisi vent’anni fa in Trentino (c’erano Bassi, Egidi, Quaglioni, Cerea…) - ci dice il prof. Gregorio Arena - venne qua con un obiettivo: fare qualcosa di diverso che nel resto d’Italia: un Ateneo con le biblioteche sempre aperte, con rapporti ravvicinati con gli studenti, dove fosse possibile lavorare in serenità. Credo che ci siamo riusciti, anche se dobbiamo ancora andare avanti. Ma era un’Università con diverse facoltà, biblioteche, colleghi delle varie discipline con cui confrontarsi. Non so se oggi qualcuno sarebbe disposto ad investire in San Michele come abbiamo fatto noi, in una piccolissima università con una sola facoltà.i""

Il ritorno al passato, il ripercorrere la strada intrapresa da Kessler nei primi anni ’60 è infatti l’essenza del progetto. Ma, appunto, perché?

Qui viene la seconda risposta, quella ufficiosa, che corre tra gli addetti alla politica. Dellai vorrebbe tornare all’Università dei Trentini, ossia della Provincia, dominata dal potere politico. Il governatore avrebbe vissuto come uno sgarbo l’insubordinazione dell’Ateneo trentino, che nonostante le pressioni gli ha bocciato il suo candidato rettore, Egidi. E si è reso conto che l’Università, nonostante le consulenze e le genuflessioni di questo e di quello, che gli hanno fornito pareri "scientifici" a comando, nel suo insieme è autonoma. Fuori del controllo provinciale. Per questo si vuol tornare indietro. Alla piccola università tutta trentina.

L’ipotesi è sconcertante: un’università alle dipendenze dei politici locali non può esistere. Lo dimostra Bolzano, che ha cambiato i rettori come una società calcistica in crisi cambia allenatori; e che tuttora pone come prima richiesta maggior autonomia dai politici.

Per capirci meglio, sviluppiamo un ragionamento. L’attuale candidato in pectore della nuova università sarebbe il prof. Attilio Scienza. Grande studioso della vite, rimpianto direttore dell’Istituto Agrario, Scienza è una personalità di indiscusso prestigio. In questi mesi egli sembra aver ribaltato le proprie storiche convinzioni: propugnatore, soprattutto per il Trentino, di un’enologia di qualità, con basse produzioni per ettaro, ha spostato l’accento dai produttori di qualità a quelli di quantità (vedi una nostra intervista - Vino trentino: la sbornia è finita - nell'aprile di quest’anno, con concetti resi ancor più crudi in una successiva conferenza presso la Camera di Commercio), fino ad avallare le prima aborrite alte produzioni per ettaro. In sintonia con Cavit e addirittura con la Cantina di Mezzacorona, ritenuta, negli ambienti vitivinicoli, una "estremista" della quantità.

Ora, il prof. Scienza è persona al di sopra di ogni sospetto. E in queste sue nuove posizioni sicuramente ha pesato l’evoluzione del mercato mondiale, che sta spazzando via le produzioni di fascia alta e di lusso (con migliaia di chiusure di aziende di nicchia in tutto il mondo). Ma il punto che ci preme è il seguente: quale sarebbe l’autorevolezza di Scienza se queste posizioni le sostenesse da rettore di un’università "provinciale"? Il cui dominus sarebbe l’assessore all’Agricoltura, o meglio, (siccome tutti sanno che non è l’assessore a comandare) sarebbero i boss delle grandi cantine sociali?

Un’università soggetta al potere locale che credibilità può mai avere? E quindi, in definitiva, a cosa si pensa che possa servire?

Dichiaro subito che la mia è una visione di parte, e non pretendo di essere obiettivo - premette il rettore dell’Università di Trento Davide Bassi.

Entrando nel merito?

"Un livello universitario nel campo agro-alimentare è cosa importante in Trentino: non solo per il valore economico del comparto, ma anche per le ricadute su territorio e ambiente".

E oggi come siamo messi?

Il rettore Davide Bassi.

"Non possiamo essere soddisfatti. C’è un corso di laurea di primo livello (cioè di 3 anni, ndr) cui concorrono la nostra facoltà di Ingegneria, l’Università di Udine e l’Istituto di S. Michele, con corsi in Trentino nei primi due anni e ad Udine nel terzo. E’ una soluzione dispersiva, di cui non si vedono sviluppi.".

Voi avete avanzato un vostro progetto…

"Le soluzioni sono due, entrambe tecnicamente dignitose. La prima è quella avanzata dalla nostra Università: istituire una Scuola interfacoltà per gli Studi agroalimentari, che coinvolga Economia, Scienza, Ingegneria (analogamente alla nuova Scuola di Studi internazionali, che coinvolge Economia, Sociologia, Giurisprudenza, ndr) localizzata a S. Michele. Per la ricerca si seguirebbe il modello francese di collaborazione Università-Cnr, con i professori a collaborare nei laboratori dell’Istituto, e i ricercatori nella didattica. Si darebbe impulso alla ricerca, e risposte efficaci alle richieste di formazione. Questa Scuola, attuabile in pochi mesi, sarebbe una sezione dell’Ateneo con larga autonomia".

C’è poi l’altra ipotesi, della nuova Università…

"Lo ripeto: dal punto di vista tecnico sta in piedi. Un secondo ateneo, una libera università con la sua struttura è realizzabile nell’arco di due-tre anni. C’è però una cosa da chiarire: la nuova università non può venire da una trasformazione dell’Istituto, sarà una cosa nuova. I ricercatori di S. Michele non diventano accademici per decreto, si dovranno indire concorsi e chiamare professori da altre università".

Con quali costi?

"La struttura amministrativa può rimanere quella dell’Istituto, con qualche adeguamento; tutto il resto saranno costi aggiuntivi".

Appunto. Una comparazione economica tra i due progetti?

"Con il nostro, le spese accademiche sarebbero già coperte al 70% (coi docenti già in ruolo nell’attuale università, ndr); si tratterebbe di aggiungere un 30%. Con la nuova Università è tutto nuovo e così il 100% dei costi".

Il nuovo ateneo dovrebbe quindi attrarre nuovi docenti. Cosa non semplice per un’entità piccola e nuova. Potrebbe aiutare il fatto che siamo in un contesto dove già c’è un’università, altri accademici con cui interagire. A meno che l’Università di Trento non viva la nuova nata come un disturbo, un competitore fastidioso…

"Indubbiamente è più semplice creare una nuova Università in un contesto dove ce n’è già un’altra. Voglio però precisare la questione della concorrenza. Il corso di laurea in enologia e viticoltura è già attivo in 18 sedi italiane, con 1000 neo-iscritti ogni anno, circa 50 per sede. Quanti studenti avrebbe la nuova Università? Diciamo 50? 100? Noi ne abbiamo 3.300 ogni anno: la concorrenza di San Michele sarebbe irrilevante".

C’è la questione dei fondi. La nuova università, creatura della Pat, ne attirerebbe gli stanziamenti a vostro discapito.

"Le nostre entrate sono dovute per il 50% allo Stato, il 25% dalla Provincia, il 10% dalle tasse pagate dagli studenti, il 15% da contratti di ricerca. Il mio cruccio è vedere garantito, di questi tempi, il 50% dallo Stato; e l’opportunità è aumentare il 15%, attraverso contratti europei. Non perdo il sonno per il 25% della Provincia".

Una sua forte contrazione sarebbe comunque un problema.

"Non è nell’ordine delle cose. Gli accordi in corso ci garantiscono l’attuale livello per altri 9 anni. E poi: il 2% del PIL del Trentino viene dall’Università: la Provincia, direttamente o indirettamente, grazie a noi prende più soldi di quanti ne dà. Per questo dico che, dopo quarant’anni di lavoro, il nostro Ateneo ha basi solide. Il contributo provinciale è generoso ma anche produttivo. D’altronde configura uno schema di finanziamento tipico delle buone università italiane, come Siena o Verona, dove il 25% locale viene dalle ricche Fondazioni bancarie".

In conclusione?

"In definitiva ritengo la nostra ipotesi più razionale; ma se passa l’altra, per noi non è un problema. Non credo che si debba demonizzarla, come ho visto fare da miei colleghi, per il gusto della battuta (si riferisce ai commenti degli ex-rettori, che hanno definito la proposta di Dellai "ridicola" o "insensata", ndr). Se ci sarà questa nuova università, vuol dire che oltre ai rapporti con Bolzano, li avrò con S. Michele. Tra Verona e Innsbruck io vedo - e su questo stiamo lavorando - un solo ateneo, con competizione interna d’accordo, ma soprattutto rivolto al mercato esterno degli studenti. In quest’ottica una nuova università a S. Michele non disturba".

Uno dei motivi della proposta è stato: "prima che Durnwalder lo faccia a Laimburg". Una volta c’era la suddivisione delle competenze e la collaborazione (a San Michele si studia il vino, a Laimburg la frutta); ora c’è questa grottesca competizione, che a noi ricorda quella dei due aeroportini. Non si poteva invece lavorare assieme e fare qualcosa di significativo?

"Certo, un’iniziativa comune tra le università di Trento e Bolzano, e gli Istituti di S. Michele e Laimburg sarebbe il meglio. Ma anche, se si vuole proprio fare la seconda università, una che metta insieme S. Michele e Laimburg."