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L’Europa che vogliamo

Alla frontiera – pacificata – fra Germania e Polonia un parco che supera i confini e i drammi del ‘900. Che pur si ripropongono ancora ai confini estremi del continente.

I giornali tedeschi ricordavano nelle scorse settimane i sessantacinque anni trascorsi dai colpi lanciati dalla nave militare Schleswig-Holstein alla fortezza polacca della Westerplatte nel golfo di Danzica e con essi l’inizio della seconda guerra mondiale, il 1° settembre 1939. Esprimevano pure da una parte preoccupazioni per le nuove rivendicazioni polacche per i danni di guerra di sessant’anni fa, dall’altra insofferenza più che sostegno verso le rinnovate insistenze dei profughi prussiani di aver indennizzi per le proprietà perdute negli antiche territori dell’est. Risentimenti e timori non ancora completamente sopiti nella parte d’Europa più duramente lacerata dall’ultima guerra europea, che i gesti simbolici di Brandt e Schroeder a Varsavia non sono riusciti a dissipare.

Ma solo cento chilometri a sud di Berlino e cento a est di Dresda, lungo la nuova intangibile frontiera dell’Oder-Neisse, qualcosa di nuovo, importante, è avvenuto, qualcosa che non può essere considerata la semplice, locale, conseguenza di una entente cordiale

fra Germania e Polonia. Lì, a Bad Muskau, la frontiera più delicata è diventata più sottile di un filo, invisibile tra gli splendidi ippocastani e tigli, tra i rivoli d’acqua della Neisse. Una nuova grande area protetta è stata riattivata ed abbraccia le terre di qua e di là della Neisse. La natura abbandonata da sessant’anni è tornata all’antico rigoglio voluto da un principe prussiano, Hermann von Pückler-Muskau, che realizzò nei suoi possedimenti, sul finire dell’Ottocento, il più grande parco agreste d’Europa.

Sui ponticelli in legno che collegano la parte polacca del parco a quella tedesca, guardie di confine controllano fumando distratte i non molti turisti di bellissime giornate settembrine. Alle entrate del parco, i dépliant esplicativi sono bilingui, e illustrano la storia tormentata e la natura bellissima di quest’area tornata ad essere una.

L’UNESCO ha dichiarato nel 2003 il parco, nella sue interezza e quindi sia i territori polacchi sia quelli tedeschi, patrimonio unico, da tutelare in nome dell’umanità.

E’ facile immaginare che le ragioni non siano state solo di ordine naturalistico. Il parco è bellissimo, ma ci sono in Europa parchi altrettanto belli, basti pensare a quelli delle nostre Dolomiti. Credo che l’UNESCO, a ragione, abbia pensato che quella straordinaria oasi di pace, ricomposta su una terra martoriata da sofferenze inaudite, avesse un significato in più per essere anche simbolicamente protetta per il bene e il ricordo di tutti. E l’emozione che inevitabilmente ciascuno prova nel vedere sessant’anni dopo quella terra placata, quel fluire di acque, viste niente più che come straordinari elementi del creato e non come demarcazione fra nazioni irriducibilmente altre l’una rispetto all’altra, conferma che la decisione dell’Unesco è, in questo caso, qualcosa di più che il riconoscimento dato ad un grande monumento ambientale. D’altronde, fuori dal parco, dentro le terre dello Spreewald e giù fino a Bautzen, il bilinguismo diffuso dà dignità alla minoranza slavo-sorba di quella regione, una minoranza che gli Hohenzollern e poi i nazisti cercarono sempre di cancellare, perché vissuta come sfregio alla purezza delle terre tedesche. Tra tante difficoltà di rapporti fra tedeschi dell’ovest e dell’est, con il motore economico acciaccato, lo stato sociale in discussione, un segno importante dato dalla nuova Germania.

Emozioni e segni importanti, quasi il simbolo di un’Europa placata, di un Novecento archiviato, emozioni che diventano amarissime quando, usciti dal parco, sui giornali appaiono i grandi i titoli dei giovanissimi Geiselnahme di Beslan duemila chilometri più a est, e si deve prendere atto che le frontiere, cicatrizzate al centro del vecchio continente, continuano ad essere, ai suoi più estremi confini, immensi fiumi di dolore, di orrore, di odio, di sangue.

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