Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 10, 15 maggio 2004 Servizi

Il mito delle foibe

A proposito di un convegno poco convincente.

In greco, mýthos è il racconto; e, infatti, ciò che sappiamo del le foibe ci è stato raccontato, tramandato di generazione in generazione, per non dimenticare; ma la memoria spesso amplifica, distorce, livella, rimuove, rivelandosi tutt’altro che obiettiva. Potrebbe essere accaduto anche per le foibe? E’ quanto sostengono il ricercatore Sandi Volk, Giorgio Pira del Collettivo Gramsci e il partigiano Gianni Perghem, intervenuti, quali unici relatori, nel dibattito "La menzogna dei martiri: il mito reazionario delle foibe" a Sociologia il 27 aprile.

All’incontro avrebbero dovuto partecipare alcuni storici dell’Ateneo di Trento, presumibilmente come ospiti dato che i loro nomi non compaiono nel programma. La controparte, che avrebbe garantito maggiore equilibrio se non imparzialità, era però assente per via di un "imprevisto". Il preside della Facoltà, il prof. Antonio Scaglia, ha annullato l’incontro, negando l’utilizzo della capiente e confortevole aula 20 e assumendosi "l’impegno di organizzare, quanto prima possibile, una iniziativa di approfondimento e discussione sul tema delle foibe e della loro rimozione dalla memoria collettiva repubblicana". Ciò nella convinzione che non vi fossero "le condizioni per lo svolgimento di un confronto sereno e scientificamente fondato su un tema cruciale della storia italiana recente" - così recita il comunicato affisso nel pomeriggio dopo che lo stesso Scaglia aveva più volte confermato (anche sul Trentino e fino a 8-9 ore prima del convegno) che mai avrebbe preso provvedimenti censori.

L’ordine pubblico poteva essere salvaguardato diversamente, ad esempio con l’intervento preventivo delle forze dell’ordine, come proposto tra l’altro da Universitando, che tuttavia ha appoggiato la scelta del preside.

La "sospensione" ha pesato sul convegno, che s’è svolto ugualmente ma in assenza dei docenti (ignari della determinata presa di posizione del Collettivo) e per giunta nell’aula caffè, non attrezzata per simili evenienze e fin troppo disturbata da un costante viavai verso distributori di bibite e cibarie. Sedie e panche, insufficienti, sono state recuperate dalla sala lettura o dal giro scale, ed almeno una ventina di persone ha assistito coraggiosamente in piedi per la bellezza di due ore. Ma quali pericolose idee hanno spinto a tale corsa ai ripari?

PPer i relatori è doveroso rivedere le cifre: non 300.000 infoibati ma qualche centinaio, e poi bisogna verificare le biografie delle vittime. I morti che ricorderemo ogni 10 febbraio a partire da quest’anno sarebbero in minima parte civili innocenti, partigiani, gente comune; gli altri - repubblichini, squadristi, SS, membri della Croce Rossa militarizzata e via dicendo - risulterebbero coinvolti in rappresaglie, fucilazioni, pestaggi, persino nella Shoah. Altri ancora sarebbero stati conteggiati per errore, non sempre in buona fede, come le donne inserite due volte (col cognome da nubile e da sposata) o gli 8 deportati nei lager nazisti finiti inspiegabilmente nell’elenco; inoltre tra gli infoibati ci sarebbero anche sloveni. Inesatto, dunque, parlare di oltraggio all’italianità ed assurdo, di conseguenza, realizzare monumenti in memoria dei nostri soli morti. La falsificazione sarebbe opera di storici poco credibili perché neofascisti e di parte.

Purtroppo il partigiano Perghem, che avrebbe dovuto corroborare la tesi, è parso una figura di contorno, parlando per ultimo giusto pochi minuti. Una testimonianza non valorizzata e meno interessante degli interventi del pubblico.

Alla fine, con la dispensa "Boicottiamo il "Giorno del ricordo"" distribuita gratis a chi la voleva, ci restano i dubbi e il desiderio di conoscere più a fondo una realtà poco studiata. Solo gli ultimi anni registrano un interesse "nazionale", preceduto, andando molto indietro, dalle campagne demagogiche di Almirante che attecchirono, non a caso, specie nella Venezia Giulia. Forse anche a loro si deve lo sdegno di parenti e amici delle vittime, offesi, magari a ragione, da una lettura revisionista (non negazionista) che ridimensiona drasticamente l’orrore e la ferita delle foibe: i sepolti vivi sarebbero l’eccezione, non la regola.

Non siamo degli storici né possediamo i dati della commissione d’inchiesta italo-slovena sulla reale portata del fenomeno, perciò evitiamo di trarre conclusioni in base a opinioni personali e letture più o meno accreditate. L’importante è confrontarsi senza ribattere cifra su cifra, alzare i toni, censurare, opporre gli esempi di Poreè (Parenzo) e Trieste per dimostrare l’una o l’altra teoria. Altrimenti, com’è accaduto alla fine del convegno, ci si parla addosso o da soli.