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Alighiero Boetti: divine astrazioni

In mostra le opere dell' artista al GAMeC di Bergamo.

Dopo aver visto la mostra di Boetti al GAMeC di Bergamo l’ansia e la paura del quotidiano che respiri per strada vanno in un tratto a farsi fottere perché dentro di te cerca ancora di ritagliarsi uno spazio la riflessione e contemporaneamente dilaga la magia del gioco che richiede automaticamente la presenza di un "altro".

Alighiero Boetti alla Biennale di Venezia del 1990.

Solo poche persone riescono ad amare gli altri come amano se stesse. L’arte è un dono, come l’intelligenza: quando poi queste due "qualità" si realizzano in una persona, allora questa diventa, oserei dire, patrimonio dell’umanità (si è se stessi ed altro da sé, Alighiero e Boetti, come amava firmarsi il nostro). In questa ottica si capisce come Gilles Deleuze abbia potuto affermare che "la parte inalienabile dell’anima è quando si è smesso di essere un Io" e questa parte eminentemente fluida è frutto di una lenta conquista, fatta di connessioni di cui una società è capace. Se dovessimo in breve riassumere lo stile di Boetti ne risulterebbe che le sue opere sono fatte di niente, di una frase, di un’idea che ti inchioda lì o che ti fa vorticare la stanza come in un caleidoscopio. Un fluido di pura e semplice sessualità di fronte a una dilagante stupidità e bulimia di marca occidentale. "Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo", "Raddoppiare dimezzando", un programma da imporre all’Occidente, che ne dite?; "Attitudini" e "Latitudini" non sono due parole chiave che aprono il Sé al mondo?

Per dirlo bastano umili stampe tipografiche, matite leggerissime, biro da usare su carta, righe rosse e blu tirate su un foglio a quadretti che virano verso l’optical, brevi frasi che alcune donne afghane tesseranno con lane coloratissime, fotocopie o impronte: ecco le cose di cui si serve l’artista per creare cortocircuiti nelle strutture apparentemente coerenti del pensiero di chiunque. E se Deleuze fa riferimento a parti fluide della personalità, Boetti parla apertamenete di "corrente": "Questo piacere che provo nel fare delle cose e nel vedere le cose degli altri: Ecco è questo che mi attira nella corrente. Mi piace andare con altri che giocano con il pensiero, dei matematici, logici, teologi o dei poeti e dei musicisti". Altre persone sono lì ad erigere steccati, muri!

Alighiero Boetti, "Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969".

Si fa evidente l’elemento della sessualità quando uomini e donne si incontrano e si avvicendano con biro blu su pannelli dove bisogna "mettere al mondo il mondo", accompagnato dall’elemento sacrale nei giochi di combinazioni, nelle filastrocche, nelle lettere che come grani di un rosario cercano una possibile uscita dal labirinto e da nessi qualche volta inestricabili della mente.

I lavori di Boetti sembrano allora macchine per imparare a pensare: guardando gli arazzi e i ricami non posso non accostarli alle considerazioni del filosofo Giorgio Colli a proposito della ragione dei Greci: "Una volta annodata, questa concatenazione tesse senza posa il suo filo. L’estensione sconfinata di questo e le diramazioni successive che si moltiplicano senza limiti, portano allo smarrimento... L’intera ragione, fatta di parole, è un di fuori, soltanto esteriorità, e le è sfuggito l’interno che cercava".

Boetti non ha sottovalutato questo pericolo: conoscendo alcune chiavi di lettura puoi abbandonarti allo "sragionare in lungo e in largo"; "Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio del 1969" sicuramente riceverò la visita di una farfalla!

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