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Le strane coppie di Lopez-Solenghi

Regia convincente, cast strepitoso, storia che fa ridere e riflettere: un lavoro che fa bene allo spettatore.

Abbiamo atteso a lungo per vederli, finalmente insieme, qui in Trentino; e ne è valsa davvero la pena. Tullio Solenghi e Massimo Lopez sono apparsi in splendida forma, sostenuti da un cast affiatato ne "La strana coppia" di Neil Simon, complice la regia vivace e convincente di Gianni Fenzi.

Peccato che il buonumore sia stato scalfito da seri problemi organizzativi del Centro S. Chiara, risolti alla meglio solo grazie alla disponibilità degli attori: una rappresentazione in più nel pomeriggio del 6 marzo, cosicché il sipario s’è alzato una prima volta alle 16 e una seconda alle 20.30. Ciò perché i posti sono stati assegnati, fino ad esaurimento, senza tener conto di chi aveva gli accrediti e, come non bastasse, la conferma ufficiale della "soluzione" al problema è giunta solo nella tarda serata di venerdì 5 marzo. Molti abbonati hanno dovuto rinunciare o, nei casi più fortunati, rivedere i propri programmi di fine settimana per procurarsi un posto nella "data" in più. Un comportamento questo, che, oltre a denotare distrazione, per non dire scarsa serietà, rischia di compromettere l’immagine del nostro ente teatrale non solo presso il pubblico ma anche nei confronti dei professionisti ospitati dai teatri trentini. Se gli abbonati possono almeno contare sulla gentilezza disarmante e assolutamente incolpevole degli operatori dei punti informativi, le compagnie affrontano disagi ben maggiori e hanno a che fare coi diretti responsabili. Per nostra fortuna Lopez, Solenghi e il resto della compagnia l’hanno presa bene, anche troppo, dimostrando un ammirevole rispetto per il pubblico e per il proprio mestiere.

Ma lasciamo critiche e polemiche per parlare dello spettacolo in sé. Colpisce, nell’allestimento, la mancanza del cambio-scena: l’appartamento al dodicesimo piano di Oscar Madison, arredato con cura tra quadri, biblioteca, mangianastri, tavolo, poltrone, tende verdine, è l’unico ambiente che domina la pièce. Anzi, ne riconosciamo solo alcuni vani: il soggiorno, l’angolo cottura, l’ingresso, il bagno striminzito e la camera dei bambini senza bambini. Tale scelta è perfettamente funzionale perché pone al centro il luogo in cui si svolge l’azione e prende corpo il conflitto Felix-Oscar per renderlo un sudicio paradiso o un inferno del pulito. Visto come unità scenica, l’appartamento diviene un campo di battaglia fra ordine e disordine, fra stili di vita opposti che tentano di trovare un accordo, un compromesso. Ma la pacifica convivenza si rivela impossibile e dovrà limitarsi ad una frequentazione più o meno assidua, grazie al cemento delle partite a poker. Queste ultime, fin dall’inizio, aggregano il gruppo formato dai due amici con Murray, Vinnie, Roy e Speed; dà loro un’occasione per riunirsi, per esistere insieme e non come isole alla costante ricerca d’affetto e di se stesse.

Le serate fra amici sono lo specchio in cui guardiamo personaggi molto diversi fra loro, ridotti talvolta a caricature, protagonisti a parte. Ma dietro la leggerezza s’avverte la profondità, s’intuisce che ognuno indossa, più o meno consciamente, una maschera. Oscar gigioneggia, fa il brillante, cammina con passo felino, giusto per sedurre una a caso delle sorelle Piccioni (tanto non le sa distinguere); Felix invece le conquista entrambe, senza volerlo né approfittarne, grazie ad un’aria da cucciolotto smarrito. Eppure, fra i due è proprio Felix il più agguerrito, intransigente, insopportabile; detta legge persino al padrone di casa, che gentilmente l’ha ospitato e al quale pretende di migliorare la vita. Chissà, forse anche Gwendolyn (Maura Ragazzoni) e Cecily (Serena Troiani) non sono così oche e svampite come appaiono, ma si mostrano come gli uomini si aspettano da loro.

Una breve riflessione. Per Wilde "il matrimonio è l’insieme di due solitudini"; lo stesso avviene ne "La strana coppia" e in alcune pièce proposte di recente: "Le mani sporche", "Variazioni enigmatiche"… Qui però il tocco è più lieve, delicato, sorretto da un’ironia che non diviene mai sarcasmo, se non nelle acide battute di Speed (Enzo Saturni), personaggio minore di cui poco o nulla sappiamo, ma forse il più solo o il più fragile. Ognuno reagisce a suo modo, diviso fra bisogno d’affetto e voglia d’autonomia. Roy (Vincenzo M. Battista), da buon commercialista, tiene i conti e il banco; il poliziotto Murray (Paolo Gattini) si fa perdonare dalla moglie obesa comprandole dolci e schifezze varie; Vinnie (Giuliano Chiarello) porta in viaggio la famiglia, con le vincite, nei periodi peggiori ma più economici. Le mogli, le "grandi assenti", parlano coi mariti solo al telefono. Non ne sentiamo nemmeno la voce, eppure la loro ombra è sempre sulla scena, influenza pensieri, scelte, azioni dei personaggi in carne ed ossa.

Inutile dire che la pièce fotografa le contraddizioni della società di oggi, non solo del ’65 (l’anno in cui fu scritta): solitudine/convivenza, lusso/risparmio... Meglio ricordare che abbiamo riso e sorriso, senza mai smettere, nel vederci rappresentati sul palco. Perfino i momenti più drammatici erano esilaranti, si stemperavano volutamente nel patetico ottenendo l’effetto liberatorio di esorcizzare il dolore. Tra le gag segnaliamo il polpettone bruciato, con tanto di veglia e marcia funebre. Ci ha fatto bene andare a teatro; siamo riusciti, cosa rara, a divertirci e riflettere senza scadere in vittimismo o autocompiacimento. Alla fine, la coppia non si divide davvero, i suoi componenti rivendicano ciascuno i propri spazi, entro i quali l’altro non può e non deve entrare senza permesso. Il tutto raccontato nel migliore dei modi da uno strepitoso cast, non solo Solenghi e Lopez, credibile in tutti i ruoli. Ci auguriamo quindi di poterlo rivedere presto.

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