Vittorio Matino
Allo Scudo di Verona la pittura sontuosa di Vittorio Matino.
A questo punto dell’anno solare val la pena perseverare e far conto dell’assicurata qualità delle esposizioni veronesi della Galleria dello Scudo di Verona. L’abbiamo sempre affermato anche a costo della noia. Qualche nostro lettore, è la nostra speranza, prima o poi, andrà a verificare di persona. Succede che a fine anno il piatto si fa sempre più ricco, in giro c’è un’offerta che sempre più coincide con il "rumore", nomi altisonanti di grande richiamo, per intenderci, tanto che si continua ad usare impropriamente il termine "evento" a delineare spesso mostre inconsistenti dal punto di vista di una riflessione critica coordinata da veri studiosi. Qualche volta capita che per sovrapposizione di tempi e luoghi non riusciamo, se non in ritardo, a segnalarvi mostre "silenziose", ma che meritano una visita approfondita, come nel caso del pittore contemporaneo di origine vicentina Vittorio Matino, allo Scudo.
Giuseppe Appella della pittura di Matino cita a giusta causa un pensiero di Joseph Albers: "Quando dipingo e costruisco provo a sviluppare l’articolazione visiva". Ed è sulla superficie che avvengono i miracoli, l’ebbro vissuto dei colori di un mercato di stoffe orientali o di spezie, la levità di un momento dettato dal vento, delle trasparenze della luce e velature di un colore sontuoso. Sono opere pensate per gli spazi della Galleria e ciò accentua questo elemento di intimità, di luce interiore che rivela una solarità mediterranea che viene da Matisse per gli elementi più eclatanti e dalla pittura di Rothko per quei colori più sofferti, meditati eppur reinventati.
Le invenzioni di Matino procedono sulle due varianti orizzontale-verticale per quel senso di dilatazione e di libertà espressiva che è propria del colore nel primo caso (Big Red, Blu di Verona) e nel secondo per la ricerca di un centro che convogli fluidamente l’inesauribile combinazione e la facoltà generativa (per parafrasare Chomsky) del colore in tonalità che ci ricordano un Piero Dorazio senza gabbie né geometrie.
La mostra di Matino, ahimé si è conclusa, ma riporto le sue impressioni sulla "pittura" perché condivise da altri pittori. Nell’intervista di Walter Guadagnini il nostro vedeva in positivo i risultati raggiunti, la scelta dei formati, il colore che non è un in sé, ma vive di rapporti, la possibilità di mettere a confronto diretto forme tra loro anche differenti e di trovare il giusto equilibrio "fino ad un risultato sentito come conquista"; dall’altra lo scoramento, la consapevolezza che "questi temi profondamente pittorici" non interessano più a nessuno.
Per una coincidenza non fortuita proprio qualche sera fa in un incontro con gli amici della Galleria Civica di Trento, tenutosi nell’aula magna dell’Università Popolare, il pittore Mauro Cappelletti ripeteva al pubblico attento quasi con le stesse parole le note qui sopra riportate, senso di un comune sentire. Questi due pittori si rassomigliano fisicamente e da due critici diversi sono stati definiti pittori da "sedia davanti al quadro", dove all’osservatore viene richiesta la sosta.