“Alex Zanotelli. Sfida alla globalizzazione”
Mario Lancisi, Alex Zanotelli. Sfida alla globalizzazione. Piemme Edizioni, 2003, pp.230, € 12.
Noi trentini Alex Zanotelli lo conosciamo bene. Partecipiamo alle sue celebrazioni liturgiche, lo ascoltiamo nelle assemblee, lo leggiamo sulla stampa. Ne conosciamo la storia di missionario comboniano, da Livo, in Val di Non, dove nasce, alla prima missione in Sudan, alla direzione di Nigrizia, agli anni di Korogocho in Nigeria, all’impegno nel movimento pacifista e new global.
La biografia di Mario Lancisi, giornalista del Tirreno, è un altro pugno sferrato nello stomaco a noi, occidentali pasciuti. Al nostro "stile di vita", responsabile delle ingiustizie e delle guerre che si accumulano nel mondo di oggi. Scorrendo le pagine cresce il nostro senso di colpa.
Il merito, e il coraggio, di Zanotelli è quello di indicare nei nostri consumi, nei nostri "diritti", i responsabili della fame dei poveri del Terzo Mondo. Non sono solo le multinazionali e i loro profitti, gli Usa, il Wto, il Fondo monetario, la Banca mondiale, lontani, malvagi capri espiatori, a provocare l’ingiusto divario fra poveri e ricchi, ma proprio il nostro "stile di vita": come mangiamo e ci vestiamo, come ci muoviamo e ci divertiamo. Quanto viviamo e ci istruiamo. A tutti è richiesto un radicale "non ci sto" ad un sistema - dice - "che ci sta portando inesorabilmente verso la morte". Se l’80% della popolazione, oggi esclusa, pretendesse di vivere come noi, il destino del pianeta sarebbe segnato.
Le domande si aggrovigliano dentro di noi, ammirati dalla testimonianza di vita, inarrivabile, di padre Alex, e che con lui, con la sua passione, simpatizziamo. Per la pace esponiamo la bandiera al balcone, manifestiamo per le strade della città, interveniamo all’assemblea, leggiamo buoni libri e buoni giornali. Ci opponiamo alla globalizzazione neoliberista comperando i prodotti del commercio equo e solidale, e boicottando la Nestlè. Per risparmiare petrolio usiamo pochissimo l’auto, e non ci riforniamo di benzina alla Esso. Ci sforziamo di non sprecare acqua, né l’energia elettrica. Finanziamo, con la Rete Radiè Resch, i progetti di sviluppo nei paesi del Terzo Mondo. Ascoltiamo attenti le parole di Franco Masserdotti, vescovo nel Nordest del Brasile. Votiamo naturalmente a sinistra. E protestiamo quando sui giornali leggiamo di quei trentini che, indignati, attaccano Alex perchè fa politica, da comunista addirittura.
La biografia, però, accresce non solo il nostro senso di colpa, ma anche di impotenza. Questo Zanotelli non lo vorrebbe, mi dico. E’ "il peccato più grave", afferma lui stessoE allora cerco, mi interrogo, e scopro ciò che da lui mi divide, quella parte di pensiero che è di dissenso. Ma che è anche quella che mi permette di camminargli al fianco, dialetticamente, guardando verso lo stesso orizzonte.
Viola, la bambina bianca della Brianza, ha davanti a sé ottant’anni di vita, un’istruzione fino alla laurea. Njeri, nata nella baracca di Korogocho, vivrà quarant’anni, e morirà analfabeta.
Se riuscissimo oggi, subito, a costringere la Banca mondiale a rinunciare alla sua politica neoliberista, se fossimo capaci di rinunciare da oggi, subito, ai simboli della Nike, di MTV, della Coca Cola, quanti anni ci vorrebbero, mi domando, per recuperare il ritardo fra Njeri e Viola? Sono due storie diverse, lunghe, secolari, che sono incorporate nella speranza di vita, e di istruzione, delle due bambine, e le ha distanziate. Ci vorrà perciò una storia lunga, di impegno, a ridurre, soltanto, quella distanza. Mentre, con voce ancora troppo fioca, si alza la denuncia, io avverto che della pesantezza della storia non potremo mai liberarci. E’ "cosa penultima", la storia. I poveri li avremo sempre fra noi. La violenza, il terrorismo, la guerra, non li sradicheremo in modo definitivo.
Non voglio che questo mio storicismo appaia rassegnazione, giustificazione dello stato di cose presenti. Ma non possiamo cancellare la storia.
Ecco, quando padre Zanotelli alza la voce, anche in questo libro, io sento mancare la storia, il suo senso, la sua contraddizione, il suo limite. Viola può rinunciare, nel nome di Njeri, perché le vuol bene, alle Nike, alla Coca Cola, ma potrebbe rinunciare alla sua lunga speranza di vita, e di istruzione? Sarebbe giusto, è possibile? E non sta proprio nel suo sapere, di bambina italiana ed europea, la presa di coscienza che per il bene di Njeri è doveroso combattere la Nike e la Coca Cola? Ma la scuola lunga, e buona, assorbe risorse, quell’83% consumato dal 20% della popolazione del mondo, di cui Viola fa parte, innocente.
La storia non è uno scontro fra bene e male, assoluti. E’ stato difficile prendere atto, per me, che è fallita, nel XX secolo, quello del comunismo, la possibilità di delineare una prospettiva finale, un futuro riconciliato, senza contraddizioni. O è questo un cedimento?
Che cosa significa, storicamente, ridurre il divario? Il divario, noi, Viola, l’abbiamo trovato. Un giovane americano di oggi ha trovato gli Usa già costituiti in superpotenza: è stato il XX secolo, le sue guerre mondiali (che gli Usa, oltre tutto, non hanno voluto) a renderli tali. Al vincolo di essere ricchi, e potenti, non possiamo sottrarci con uno scatto d’orgoglio. Nessuna innovazione tecnologica può essere, subito, a disposizione di tutti.
A sentire padre Zanotelli la giustizia sarebbe a portata di mano, se lo volessimo, se non fossimo così ingordi, egoisti, cattivi. Leghisti, berlusconiani. Di sinistra, ma imbelli. Cristiani, ma dimentichi del messaggio evangelico.
Rinunciare, nella storia, alla ricerca dell’assoluto, alle istanze dell’adempimento e della riconciliazione, non è però rinunciare, è agire con il senso del limite. E’ il senso del limite che mi permette di agire, di rialzarmi dopo ogni sconfitta, di sentirmi insoddisfatto dopo ogni (parziale) successo. Quali catene, quindi, mi domando, potrebbero essere spezzate, se lo volessimo? Quale tratto di strada potremmo percorrere? Quando Gesù rimprovera i discepoli contrariati perché Maria di Betania gli sparge il profumo sul capo, con quel "i poveri li avrete sempre con voi", non intendeva, credo, rassegnarsi alla povertà, quasi che, hegelianamente, sia razionale tutto ciò che è reale.
Dove trovare le energie e gli strumenti per il cambiamento possibile? Il ricco Occidente è un "paradiso" desiderato dagli esclusi. Poi diventa l’Impero prefigurato dall’Apocalisse, il libro della Bibbia più amato da Zanotelli: dominio, sfruttamento, violenza esercitati sul Sud escluso dal banchetto. E’ così, dobbiamo riconoscerlo. Ma l’Occidente ha anche elaborato il concetto di ‘diritti umani’: come faremmo, altrimenti, a sentire ingiusta la sorte di Njeri, la bambina di Korogocho? A scandalizzarci, noi, in Occidente, per la mortalità infantile?
Ma poi, è veramente un paradiso questo pasciuto Occidente? E’ stata la solitudine, l’assenza di comunità, a portare al suicidio Alex Langer, racconta Lancisi in pagine toccanti.
L’Occidente ha anche elaborato il concetto e la pratica della ‘politica’. Alex Zanotelli oscilla fra la richiesta di una "politica di giustizia" e il pessimismo sulla politica, perché "la politica soggiace all’economia". Il pessimismo è acre sugli strumenti che la storia ha elaborato. Ai partiti dice, sospettoso, "state lontani", è la società civile che deve riorganizzarsi in "movimento", "lasciando fuori i partiti, che rischiano di rovinare tutto".
Eppure anche i partiti politici, all’origine, erano organizzazioni di uomini , "reti", che cercavano voti su programmi per produrre politiche pubbliche, per la cittadinanza. Se oggi prevale in essi la fredda "macchina", il deserto, io provo compassione, come per la solitudine dell’uomo occidentale. E’ nostro questo deserto. Ma è una macchina anche il PT che ha eletto Lula Presidente in Brasile? Sì, risponde già qualcuno che parla di tradimento. Io non penso così: le cose, a un vecchio insegnante di storia, appaiono più complesse.
Io penso che sia necessaria una politica sovranazionale per contrastare i processi economici globali che stanno avanzando: all’UE, all’ONU io guardo con attenzione critica. E’ soprattutto l’invito, rivolto ai movimenti e ai partiti, a "stare reciprocamente lontani" che mi lascia perplesso. In un Consiglio Circoscrizionale, su su fino al Parlamento, c’è ancora qualcuno che si interroga sui problemi del mondo. Starci può essere addirittura meno gratificante che stare nella Rete di Lilliput. Chi vuol provare ad attraversare questo deserto, va sostenuto, non sbeffeggiato.
Come possono i movimenti "contaminare" la politica dei partiti se non li affrontano con insistenza, anche quando questi non capiscono, e rispondono con sufficienza e ostilità? Dal dialogo aspro, come quello raccontato nel libro fra Zanotelli, D’Alema, Fassino, Veltroni, ognuno ha sempre da imparare qualcosa. Dove possono i partiti respirare l’aria dell’utopia, e insegnare i sentieri della mediazione, se vengono tenuti lontani?
Forse è la parola "potere" che fa problema. Il potere è, nel Vangelo, strutturalmente malvagio, è la "tentazione". Anche i movimenti dal potere rifuggono, lo dichiarano con orgoglio. Io ho provato, nella mia vita, a stare nei movimenti e nei partiti, senza garanzia di successo. Il potere può essere giudicato, e rifiutato, dalla prospettiva dell’eterno e dell’assoluto, immaginando scomparso ogni dominio. Ma il potere può essere giudicato anche in nome di un altro potere, più umano, sempre più umano, da costruire faticosamente fra gli uomini. Come, oggi, in assenza di un potere diverso, immaginare di prevenire la prossima guerra, il collasso ecologico, l’uso malefico della scienza?
Gesù ha detto ai cristiani "non siete del mondo", ma anche "siete nel mondo". Da insegnante di storia ho raccontato più volte ai ragazzi il Novecento, il "secolo delle tenebre", dei gulag e della Shoah. Gli anni della guerra fredda, dell’equilibrio del terrore, sono stati terribili. Ma la guerra, quella nucleare che poteva scoppiare, non è scoppiata.