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Palestina, da sempre terra di ebrei

Shalom Noury

Dal 16° al 19° secolo una litania di viaggiatori cristiani (Siebald Rieter e Johann Tucker, Arnold Van Harff e Padre Michael Nuad, Martin Kabatnik e Felix Fabri, il conte Constantin François Volney e Alphonse de Lamartine, Mark Twain e sir George Gawler, sir George Adam Smith e Edward Robinson) trovò la Palestina praticamente vuota, non fosse stato per le comunità ebraiche. Pur di rimanere, questi ebrei si erano sottomessi a innumerevoli conquistatori, tasse, pogrom e umiliazioni. Ma erano rimasti. Nel 1799, la Palestina era così bisognosa di gente, che Napoleone si fece campione di una campagna per il ritorno degli ebrei, su larga scala. All’ inizio dell’Ottocento, la Palestina era una negletta provincia retrograda dell’ impero Ottomano;

Palestina, 1985: pescatori del lago di Tiberiade.

I viaggiatori dall’ Occidente in Palestina lasciarono diari e cronache di quanto vi vedevano. In tutti i resoconti il tormentone è la tetraggine: Terra deserta, negletta, abbandonata, desolata, caduta in rovina. A Gerusalemme, diari e cronache di viaggiatori, pellegrini, esponenti di vari governi, ripetono: povertà, sporcizia, abbandono, campagne desolate attorno. I primi fotografi documentano: lebbrosi coperti di stracci, edifici fatiscenti. Gerusalemme è circondata da bande di beduini, arabi predoni. Si devono chiudere le porte al tramonto per riaprirle alle prime luci, pratica in uso già nei tempi biblici. Qualche citazione dai visitatori prima dei tempi moderni:

"Lì [a Gerusalemme] non c’è nulla da vedere, salvo un po’ delle vecchie mura che pure rimangono; il resto è, pantani, muschio, erbacce" (Pellegrino inglese, 1590).

"Il Paese è in considerevole grado privo di abitanti, e pertanto necessita soprattutto di un corpo di popolazione" (Console inglese, 1857).

"Non esiste un sol villaggio per l’intera sua estensione (la Valle di Jezreel), nessuno, per 30 miglia in ogni direzione; puoi cavalcare per dieci miglia qui attorno, e non veder neanche dieci esseri umani... Nazareth è abbandonata, Gerico cade a pezzi e giace in polvere, Betlemme e Betania, nella povertà e nell’ umiliazione, inabitabili da qualsivoglia creatura vivente.Un Paese desolato, il cui suolo è abbastanza ricco, ma è completamente abbandonato alle erbacce. Un’estensione silente dolente, una desolazione. Per tutta la strada non abbiamo mai visto un essere umano. Già è molto vedere da qualche parte un albero, un cespuglio. Persino l’ albero dell’ ulivo, e il cactus, quei rapidi amici d’un terreno che non val niente, avevano quasi abbandonato il Paese. Di tutte le terre esistenti per scenari tetri, la Palestina dev’esser il principe. Le colline sono sterili e morte; le valli, deserti brutti, [abitati] da sciami di mendicanti con malattie e malformazioni orrende. La Palestina è a terra, stracci e cenere, desolata e repellente"(Mark Twain, Gl’ innocenti all’ estero, 1867).

Da notare, esistono fotografie che risalgono al 19° Secolo, e agli inizi del 20° che documentano lo sviluppo della Palestina: dal desolato paesaggio pre-sionistico riferito dai viaggiatori, alla verde terra fertile che gl’immigrati ebrei vi avevano creata. Questo web site ha 460 foto e lito del periodo, alcune mai prima d’oggi disponibili al pubblico: www.eretzyisroel.org

Esse dimostrano come gl’ industriosi sionisti resero ubertose le quasi deserte plaghe e le misero in grado di dare sostegno e sostanza alle ondate di ebrei e di arabi che arrivarono in Palestina nei successivi decenni.

Winston Churchill era ministro delle Colonie quando visitò il Vicino Oriente nell’ inverno 1920-1921. Gli elementi antisemiti nel governo britannico tentarono di asserire che gli ebrei non erano necessarj per sviluppare la Palestina e Churchill ribattè: "Lasciati a se stessi, gli arabi di Palestina nemmeno in mille anni compiranno passi efficaci verso l’ irrigazione e l’ elettrificazione della Palestina. Si contenteranno di tirare a campare - una manciata di persone filosofiche in pianure abbandonate e inondate dal sole - lasciando le acque del Giordano fuggire senza briglia e scatenate dentro al Mar Morto".

Nel 1924, pochi mesi dopo esser divenuto Commissario degli Stati Uniti al Dipartimento Bonifiche, Elwood Mead pubblicò un rapporto assai favorevole a proposito degl’ insediamenti ebraici in Palestina, fondato sulle visite da lui ivi compute nel 1923. Il suo articolo, "Nuova Palestina", elogiava i fatti e i programmi dei sionisti: bel colpo di pubblicità. Mead diede all’Islam, al dominio ottomano, alla cultura araba la colpa della distruzione dei sistemi romani d’irrigazione, che - afferma Mead - "un tempo davano sostegno a terre dove scorrono il latte e il miele".

Dopo le rivolte arabe nel 1929, Mead scrisse all’ Alto Commissario Britannico che i coloni ebrei avevano prodotto "una meravigliosa trasformazione" nel paesaggio palestinese. Mead sottolinea che durante le sue visite in Palestina non aveva visto nulla che indicasse "sia stato fatto torto all’ arabo. Per giunta, l’esempio ebraico di quanto posson fare i moderni equipaggiamenti e finanza, coniugato con il solidale interesse del governo, "sta portando l’arabo fuori dell’ inerzia disperata, creata dal malgoverno e dall’oppressione dei secoli passati. Gli insediamenti ebraici in Palestina non soltanto bonificano la terra, ma elevano anche i livelli di vita della popolazione araba".

L’ aumento nelle attività commerciali, nell’ edilizia e nei nuovi sviluppi industriali era dovuto quasi interamente al capitale ebraico, e all’ arrivo di una classe d’ immigranti con soldi da investire. Durante questo periodo avviene un robusto capovolgimento di popolazione, con l’ arrivo di arabi e di altri da tutto il Medio Oriente, che traslocano dentro alle aree delle coltivazioni e dello sviluppo sionistici. L’abilità organizzativa e tecnica dei coloni ebrei, il loro accesso a capitali esterni, il loro lavoro indefesso, han generato un boom economico che ha creato opportunità per i lavoratori arabi, particolarmente in contrasto con le condizioni di stagnazione in altre parti della regione.

Ciò è stato documentato da molti, in seguito all’opera assai criticata, ma fondamentalmente solida, di Joan Peters, nel suo libro "Da tempo immemorabile: le origini del conflitto arabo-ebraico per la Palestina". Le scoperte essenziali sono:

1. Sin dal 1893, gli ebrei erano già tutt’altro che una piccola minoranza, nelle aree in cui si erano installati; anzi, erano il più grande singolo gruppo ivi residente (qualora si divida la popolazione non ebraica fra musulmani e cristiani).

2. Una sostenuta immigrazione di arabi verso la Palestina avvenne durante la prima metà del Novecento, dal 1893 al 1947. La popolazione palestinese araba raddoppiò nelle aree dove non si erano insediati ebrei, ma addirittura quintuplicò nelle principali aree d’ insediamento ebraico.

Tali constatazioni sono corroborate da una profluvie di statistiche demografiche e di resoconti dei contemporanei, la sostanza dei quali mai è stata contestata da nessun commentatore.

Smantellare gli insediamenti ebraici nell’antica terra di Giudea e Samaria equivarrebbe ad una pulizia etnica di tipo nazista. E’ interessante che nessuno parli di smantellare gli insediamenti arabi in terra d’Israele, che occupa appena lo 0.04% del Medio Oriente, e che invece si accusi Israele di pulizia etnica.