Rimpiangere il “tema”?
Oltre alla Moratti, anche certa sinistra ostacola il rinnovamento della scuola.
E’ la lingua che ci fa uomini. Prima ascoltiamo e parliamo, poi leggiamo e scriviamo. E’ la lingua che separa il borghese dal proletario, il padrone dall’operaio, ci insegnava, con le parole aspre di allora, don Lorenzo Milani. La lingua, perciò, è la competenza fondamentale che la scuola deve fornire ai cuccioli che prende in consegna, per ridurre così le distanze sociali che una lunga storia ha stratificato. Cresciuti, gli allievi continueranno a imparare per tutta la vita. Perché tutti possano ascoltare una conferenza sull’energia, leggere sul giornale la cronaca della riunione del Parlamento, scrivere una lettera di protesta al Comune, alzare la mano e intervenire in un’assemblea pubblica. E andare a votare perché si sa interpretare una tabella o un diagramma.
"Tutti gli usi della parola a tutti", scriveva Gianni Rodari in un impeto egualitario. E’ un obbiettivo difficile da realizzare, anche quando ci fosse consapevolezza ed impegno sia in chi dirige il sistema educativo, sia in chi insegna e apprende nell’aula.
E’ perciò necessario tornare, senza stancarsi, alla lingua, in questi giorni in cui le scuole riaprono. Per verificare la padronanza della lingua italiana, all’esame finale, il testo letterario proposto dal ministero all’analisi dei candidati è stato, in giugno, un brano de "Il piacere dell’onestà" di Luigi Pirandello. E’ questo un dettaglio che ci permette di collocare la questione nel più vasto contesto politico.
Alla lettura le domande d’analisi a me paiono stimolanti. Lo studente, dalle battute della scena ottava del primo atto della commedia, è invitato a ricostruire e a confrontare le figure di Fabio e di Baldovino. A citare espressioni, ad esemplificare, a commentare. A fare riferimenti ad altre opere e ad altri autori. A storicizzare e ad attualizzare. Ad argomentare sull’onestà e sull’ipocrisia. Ad approfondire il significato complessivo del testo partendo da un semplice avverbio di tempo: "allora".
E’ un bell’esempio di analisi: è così che si insegna e si impara a leggere e a scrivere, a ragionare. E’ utile anche agli insegnanti che tornano in aula in settembre. Conserveranno il foglio, mi dico, e lo mostreranno ai colleghi che non hanno avuto l’opportunità di fare i commissari all’esame. Finalmente nella nostra scuola è entrato il plurilinguismo: l’analisi e la sintesi, il saggio, l’articolo di giornale, la relazione. Domani anche il verbale e la lettera, l’intervista e la recensione. Forse persino la sceneggiatura. E’ un cammino impegnativo la didattica della lingua, dalla scuola primaria a quella secondaria, all’università.
Questa prova d’analisi, che a me pare tanto interessante, è invece stroncata così, il 19 giugno, su un giornale nazionale: "Innanzi tutto il tema sostituito dalle domande a quiz su un brano letterario mi sembra il modo meno adatto per cogliere la maturità di uno studente. Ho sempre pensato che proprio dal tema si potesse valutare la capacità di organizzazione del pensiero... La traccia con le domandine ti dice soltanto quanto lo studente ha studiato. Già il nozionismo è una piaga, ma riuscire ad essere nozionistici anche in un tema letterario è la delusione totale".
Mentre leggo su l’Unità il commento di Lidia Ravera sono preso dallo sconforto, dalla "delusione totale". A questo siamo? Che una nota scrittrice, di sinistra, su un giornale ogni giorno indignato sul fronte dell’opposizione politica, rimpiange la tradizione del "tema"? Cioè la richiesta di ampliare in tre pagine ciò che un autore famoso è riuscito a dire bene in tre righe. Tecnica dell’ampliamento, in uso soltanto nella scuola (italiana) quella del tema, che non ha insegnato a nessuno come si scrive, e quindi inadatta a valutare le abilità di uno studente.
In prima pagina, lo stesso giorno, il resoconto politico sulla prima giornata d’esame è affidato all’ironia: nella traccia sull’acqua il Presidente del Consiglio è elevato al rango di esperto al fianco di G. Corbellini, la parola "tangentopoli" è cancellata per non scandalizzare le caste orecchie dei giovani, il comunismo è ridotto a una storia di orrori che però affascina ancora. Si avvia al "regime" la scuola italiana governata da Letizia Moratti - è la conclusione preoccupata.
Ma quando poi, oltre l’indignazione, si deve fornire l’antidoto, nella pedagogia e nella didattica si canta un panegirico al tema. Lidia Ravera sembra non sapere che l’innovazione del plurilinguismo è opera non di un ministro di destra, ma di Luigi Berlinguer e di Tullio De Mauro, che raccolsero e legittimarono le cento esperienze che gli insegnanti, da decenni, formiche ignorate, conducevano in aula. Forse con i laureandi che la Ravera incontra all’università, e scopre ancora incapaci di scrivere, c’entra un poco anche la pratica privilegiata, unica quasi, del tema che lei rimpiange. I partiti di destra, oltre tutto, si opposero, accanitamente, quattro anni fa, alla riforma dell’esame "di maturità", cioè alla pratica impegnativa del plurilinguismo.
Nella "Storia della lingua italiana" (1994), Pier Vincenzo Mengaldo, uno dei nostri maggiori linguisti, definisce "tedioso" lo strumento del tema, e il relativo "terrorismo ortografico": perché "così si mette in ombra il parlato e la grande differenza fra parlato e scritto; la dittatura del tema sclerotizza anche lo scritto perché ne impedisce l’uso differenziale, secondo i vari suoi generi".
Lidia Ravera crede di sbeffeggiare il ministro di oggi (di destra), e sbeffeggia invece i suoi predecessori, ma soprattutto il lavorio di tutti quegli insegnanti che non si limitano a dettare un "titolo" ai loro allievi, da svolgere creativamente, senza copiare, e senza uscire… di tema. Giustifica, e copre, così, gli sfaticati. Costa fatica, richiede cultura, riformare la scuola, insegnare come si può scrivere in tanti modi diversi.
Le polemiche contro le riforme, nella passata legislatura dell’Ulivo, sono state accanite perché richiedevano un cambiamento profondo. La difesa della pratica secolare del tema, da parte di Giulio Ferroni, tanto per restare a sinistra, nasce dalla diffidenza idealistica del letterato per le moderne scienze dell’educazione. Linguistica, didattica, pedagogia, sono per troppi parole volgari. E dall’abitudine a insegnare come si è insegnato da sempre, indifferenti ai risultati e al contesto nuovo della scuola di massa, che non è quella di élite.
Insegnante giovanissimo, da un collega esperto e generoso che andava in pensione, ho ricevuto anch’io in regalo la sua lista già pronta di cento titoli. C’era anche "la forma e la vita nell’opera di Pirandello", simmetrico alla domanda, da porre a voce però, "parlami un po’ dell’Ariosto". Con svolgimenti e risposte abbandonati all’intuizione e al carisma del docente valutatore. Un correttivo al soggettivismo illimitato è proprio l’introduzione dei test strutturati, quelli che Lidia Ravera definisce ridicoli "quiz".
Non c’è dunque soltanto Letizia Moratti ad opporsi, dalla trincea del ministero, con i suoi tagli e le sue proposte, al rinnovamento democratico della scuola italiana. Persino le commissioni tutte interne alle singole scuole sono ormai accettate da parecchi insegnanti. E dall’85% degli studenti trentini, ci informa l’Iprase. Sarà difficile, domani, bonificare una mentalità che dall’alto viene corrotta ogni giorno. E a cui collaborano, senza saperlo, intellettuali che pur gridano contro questo governo.
Ma non tutto è perduto. Io non so se chi ha elaborato le domande d’analisi su "Il piacere dell’onestà" è di destra o di sinistra. Se è un funzionario, come spregiativamente si tende a supporre, o un insegnante, come spero io in uno scatto bipartisan. Vorrei però essere io bravo come lui: altro che batteria di quiz, come accusa Lidia Ravera. Che in pochi studenti abbiano scelto questa traccia impegnativa "d’analisi", è indice del difficile impegno richiesto agli insegnanti. E le commissioni interne, volute da Letizia Moratti non sono certo di stimolo.
Amerà per sempre la letteratura il giovane che è guidato a pensare. Questo mi pare un antidoto al berlusconismo. Voterà ancora a destra, se crede, ma scoprirà a poco a poco che la destra ha una storia di grande valore, irriducibile alla potenza di fuoco, cieca, di Berlusconi.