Europa, non dimentichiamoci della Costituente
Un appuntamento fondamentale per la costruzione dell’Europa, che rischia di essere snaturato.
Incomincia l’autunnno e incomincia la stagione dei litigi e dei pettegolezzi sul bilancio preventivo del comune (o anche della Repubblica), sui piani regolatori, su maggioranza e minoranza. Fra poco si voterà, per il Consiglio provinciale del Tirolo (a maggio del 2003, probabilmente), e per il parlamento nazionale (fra un anno). Poiché chi scrive è consigliere comunale, non bisogna credere che queste cose non le prenda sul serio. Però...
Quest’anno, in assenza di un dibattitto capillare, quasi senza che ce ne accorgiamo, si decide sul futuro della nostra Unione europea. L’abbiamo costruita sul "metodo Monnet", non badando alle finalità del processo: costruendo, cioè, il mercato unico, con le famose quattro libertà (libero movimento di capitale, merci, lavoro e servizi); oggi il Consiglio ci promette lo "spazio economico, basato sul sapere, più competitivo del mondo" (la cosiddetta strategia di Lisbona, cara ai commissari Monti e tutti quanti) - e chi si ricorda più dell’art. 2 del Trattato che istituisce la Comunità europea, dove si parla di crescita sostenibile, elevato livello di protezione dell’ambiente, qualità della vita, solidarietá? O dell’art. 6 , che recita: "L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario"?
Le tradizioni costituzionali comuni, dunque. Le quali, nell’Unione politica, non contano un fico secco. Che la Danimarca, alla presidenza del Consiglio da luglio, sia intenzionata a garantire una certa pubblicità delle sedute del Consiglio - per la prima volta, si vedrà e si saprà quale ministro ha votato a favore e chi contro un regolamento o una direttiva - è una mezza rivoluzione. Chi non ricorda certi ministri i quali, avendo segretamente approvato un qualche provvedimento europeo, poi sono tornati in casa attacando furiosamente i "burocrati di Bruxelles"?
Di sovranità popolare, nemmeno a parlarne. Le leggi europee le decide il Consiglio dei ministri. Che razza di democrazia sarebbe questa, quando i rappresentanti del potere esecutivo fanno i legislatori? E i diritti dei cittadini, dove vanno a finire? Il 25 luglio, la Corte di giustizia, a Lussemburgo, contro il parere dell’Avvocato generale Jacobs, che aveva prospettato un nuovo ruolo per la Corte, come Corte Costituzionale protettrice dei diritti dei singoli cittadini, ai quali spetterebbe il diritto di rivolgersi direttamente ad essa come soggetti ai Regolamenti ed alle Direttive emanati dal Consiglio, in caso di lesione dei diritti fondamentali, la Corte ha deciso di rinunciare a questo ruolo. La stessa Corte che in altre materie non ha mai avuto paura di creare, con la sua giurisprudenza, interpretando i Trattati, nuove norme del diritto europeo, di fronte ai diritti costituzionali si è arrestata, quasi auto-censurata. Su questa materia, decidano gli Stati membri, sacrosanti Padroni dei Trattati. Con tanti saluti al Parlamento, che non ha voce in capitolo.
O quasi. Il parlamento ha infatti strappato, alla fine del famigerato (perché inconcludente) Consiglio di Nizza, ai governi il processo costituente, la cosiddetta "Costituente" alla quale partecipano, con pieni diritti, anche i Paesi candidati. A Bruxelles, rappresentanti del Parlamento europeo, dei parlamenti nazionali, dei governi, e della società civile, stanno discutendo su una costituzione europea. Si tratta, in sostanza, di questa e di nessun’altra cosa, checché ne dicano i governi e il presidente dell’assemblea Giscard, imposto da loro contro la volontà dei parlamentari.
Naturalmente, c’è chi vuole semplificare l’assetto istituzionale europeo ri-nazionalizzando molte decisioni, in nome della "sussidiarietà" di cui all art. 5 del Trattato: "Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario". Ma come si fa ad avere un mercato unico e lasciare la protezione dell’ambiente o le politiche sociali agli Stati membri?
La maggioranza dei parlamentari guarda a ben altri orizzonti: Con l’erosione delle capacità dei singoli Stati di intervenire nell’economia mondializzata, di dare un senso alle attività economiche, di orientare le forze del mercato affinché producano qualcosa che potremmo definire "bene comune", l’Unione deve diventare la sede delle decisioni politiche, cioé il luogo dove si fa politica. E siccome siamo in democrazia (almeno secondo l’art. 6), bisogna democratizzare, cioé costituzionalizzare, le istituzioni europee. Tutto qui.
E poi ci dicono che, insomma, non c’è, non può esserci, democrazia al di fuori degli Stati nazionali. E’ pur vero che la democrazia e lo Stato nazionale sono nati insieme. E allora? Devono anche perire insieme? "C’è chi dice che una democrazia europea sarebbe un non-senso, poiché non esiste il demos, cioé il popolo europeo come depositario della sovranità popolare. Chi credono di ingannare, questi furfanti?" - tuonó il deputato europeo Johannes Voggenhuber (dei verdi) - Questo demos esiste, eccome: Millioni di europei sono soggetti al diritto europeo, alle norme comunitarie. Hanno dunque il diritto di decidere, attraverso noi, parlamentari europei, su queste norme. Ecco il popolo europeo."
Le istituzioni europee stanno di fronte ad un bivio: tutti d’accordo che bisogna riformarle, per accogliere fino a 10 nuovi membri e garantire l’efficienza del processo decisionale. Ma riformarle in quale direzione? Con acuta intelligenza, Voggenhuber ha trovato un paragone: Congresso di Vienna o Assemblea di Philadelphia? Riordinamento fra ministri, diplomati e "duchi dell’impero" o assemblea costituente? (E si tenga presente che anche i deputati convenuti a Philadelphia inizialmente avrebbero dovuto soltanto riscrivere il trattato federale fra le 13 ex-colonie; ma non ci badarono, e fra furiose polemiche scrissero invece la costituzione più democratica che il mondo abbia conosciuto fino allora.)
Al presidente Giscard d’Estaing, Voggenhuber ha riservato la sua battuta più feroce, più giacobina: "Signor Presidente, mi pare opportuno ricordare che, in passato, le assemblee costituenti erano abituate a cominciare i lavori impiccando gli aristocratici. Grazie a Dio, questa fase l’abbiamo superata. Però..." sempre di una rivoluzione democratica si tratta.
Spero che la gente se ne accorga, che noi ce ne accorgiamo in tempo. E non lasciamo ai duchi dell’impero, ai ministri, ai diplomati, il compito di ridisegnare le istituzioni della nostra Europa. Già oggi si parla dell’Unione fondata sulla "doppia legittimità" (come la chiama pertinacemente la relazione Napolitano al Parlamento europeo). L’Unione, cioè, degli Stati (rappresentati dai governi che, a loro volta, rispondono ai Parlamenti nazionali) e l’Unione delle cittadine e dei cittadini, rappresentati dal Parlamento europeo.
Se l’Europa del futuro deve essere, sí, un mercato unico, ma anche uno spazio comune del diritto, un progetto per vivere insieme in pace, democraticamente, in modo solidale e rispettando l’ambiente di cui facciamo parte, allora un po’ di sano giacobinismo non guasta. Dopo tutto, questa Unione, nel bene e nel male, è l’unica Europa che abbiamo. Oggi, non possiamo non dirci repubblicani europei.